AL DI LA’ DEL MEKONG
Il segreto del Natale e del futuro

Il segreto del Natale e del futuro

La riflessione natalizia di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia che sta trascorrendo alcuni mesi in un monastero benedettino in Italia: «Mi sono reso conto che il fine dell’educazione è arrivare al cospetto di Dio, cioè all’orazione. Come figli. Niente di meno»

 

Il tempo è tempio
Ciò che è domestico è monastico
L’educazione è orazione

Me lo suggerisce il Natale, con il suo presepe e la sua malinconia, me lo confermano le piccole scuole che abbiamo in Cambogia con quella loro atmosfera quasi monastica di insegnanti che allestiscono le giornate e la didattica come se allestissero un presepe tutti i giorni … «Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe» – ammonisce il poeta. «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti … Codesto solo oggi possiamo dirti …».[1] Ché il segreto è già tutto lì, in quell’atmosfera quotidiana e domestica e monastica che trasforma case e scuole in presepi, in natività, d’una ritrovata infanzia. Ne sono certo: a casa come a scuola, è quell’atmosfera il primo vero agente educativo, il segreto del Natale e del futuro!

Da quando ho lasciato la Cambogia, padre Sunil, missionario del Pime di origine indiana e padre Hermann, missionario di Mill Hill di origine malese, portano avanti le parrocchie e le scuole. Lo fanno bene, anzi, meglio!

In questi mesi sono ospite del monastero benedettino della SS. Trinità di Dumenza e continuo con un sogno. Già lo scorso anno per Natale vi scrivevo una lettera dal titolo Il tempo e il tempio, nella quale davo conto di una prima intuizione. Di seguito, proseguo con una seconda intuizione che contribuisce a chiarire quel sogno: ciò che è domestico è monastico. L’intuizione può essere attribuita a fratel Charles de Foucauld che conobbe “Gesù di Nazareth” solo attraverso “Gesù a Nazareth”. Perché fu nella normalità del contesto familiare a Nazareth, dove tutto era già dato come “umano” e non artificiosamente come “religioso”, che Gesù mosse i primi passi e imparò quel linguaggio, fatto di parole, gesti e affetti, che solo dopo avrebbe impiegato per rivelare niente meno che l’amor del Padre suo! Fratel Charles, volendo conoscere e seguire Gesù di Nazareth, si mise alla ricerca di quell’atmosfera sorgiva, di quel «monachesimo domestico»,[2] a Nazareth, quasi fosse stata quell’atmosfera il primo vero agente educativo anche per il Figlio di Dio!

Ebbene, Dio comincia sempre da ciò che è domestico, già dato come “umano”, prima di ogni altro artificio. La prima cappella è sempre la cucina di casa e la prima catechesi è sempre e anzitutto la parola di mamma e papà. Dunque, il primo vero agente educativo è quell’atmosfera, a casa come a scuola, nella  misura in cui porta in sé qualcosa di monastico, cioè di sorgivo, unificante e anti-idolatrico!

L’etimologia della parola catechesi infatti sembra alludere all’atmosfera di una vita più che a una lezione di un’ora! A monte abbiamo il verbo κατηχέω – katécheó che si compone di kata (che indica un movimento dall’alto al basso) e da ēxéō (da cui la parola “eco”) che vuol dire “emettere un suono”, “echeggiare”. Quindi, chi ascolta una catechesi, di fatto riceve una parola o l’eco di una parola che poi penetra e risuona fino a riempire la casa e rassicurare il cuore.

È anzitutto l’eco delle parole del nostro sacro universo domestico, le parole di mamma e di papà, dei nostri nonni, le parole che ci scambiamo sui social, la prima vera catechesi. O l’esatto contrario! Ma sono sempre queste parole a plasmare le nostre vite, la nostra forma mentis. Così per Gesù di Nazareth, a Nazareth! «Nell’indescrivibile voce di Gesù, quanto avrà echeggiato la potentissima voce del Padre le cui parole egli aveva appreso e proclamato kath-echo (Gv 12,50)!». Ma – continua Pagazzi – «quanto avranno vibrato nella sua voce l’inflessione di Maria e Giuseppe! Quanto deve alla voce della ragazza di Nazareth e di suo marito artigiano la voce onnipotente del Figlio di Dio che risuscita i morti!».[3]

Tornando al sogno, Charles de Foucauld parlava di un focolare, tanto domestico quanto monastico: «Ciò che sogno in segreto, senza confessarmelo … è qualcosa di elementare …, somigliante alle prime semplicissime comunità … alcune anime raccolte per condurre la vita di Nazareth e vivere del loro lavoro, praticando le virtù di Nazareth, nella contemplazione di Gesù … piccola famiglia, piccolo focolare monastico, piccolissimo, semplicissimo …»,[4] in un qualsiasi buco di mondo, che possa sprigionare quell’atmosfera, quell’eco, sorgiva, unificante e anti-idolatrica, primo vero agente educativo.

Da ultimo, secondo l’incipit di questa lettera (quasi la sintesi di una vita!) mi resta ancora una terza intuizione: l’educazione è orazione. Dopo aver costruito quelle scuolette mi sono reso conto che il fine dell’educazione è arrivare al cospetto di Dio, cioè all’orazione. Come figli. Niente di meno! Aiutare ragazzi e ragazze non solo a raggiungere la maturità, ma a desiderare di andare «più in là».[5] Diversamente, lo vediamo: diminuiscono i monaci e aumentano le monadi. Perché la sola connessione (anche a 5G) non garantisce la comunione. Ma di questo parleremo un’altra volta.

Buon Natale e buon anno a voi! Ciao!

padre Alberto Caccaro

[1] E. MONTALE, Ossi di seppia, Milano 1975, 47.
[3] Cfr. P. SEQUERI, Charles de Foucauld. Il Vangelo a Nazareth, Milano 2022, 88.
[4] G. C. PAGAZZI, «La voce del pastore. Solo un dettaglio?», in La Rivista del Clero, 10 (2014) 700 e ss.
[5] C. DE FOUCAULD, Lettera A don Huvelin – Gerusalemme, 22 ottobre 1898.
[6] E. MONTALE, Ossi di seppia, 105.  Dagli gli ultimi versi di Maestrale: «sotto l’azzurro fitto / del cielo qualche uccello di mare se ne va; /  né sosta mai: perché tutte le cose portano scritto: / “più in là”!».