Dalla minaccia fondamentalista ai diritti negati dei lavoratori,passando per le questioni ambientali e sociali. I missionari del Pime raccontano le sfide nel Paese che il Papa si appresta a visitare
Fuoco verde. Così il grande poeta bengalese Rabindranath Tagore descriveva a fine Ottocento le risaie a perdita d’occhio ondeggianti al vento sotto il vasto cielo del Bangladesh. Oggi invece il Paese che Papa Francesco visiterà dal 30 novembre al 2 dicembre ha conosciuto una rapida e tumultuosa industrializzazione, che sta cambiando in modo radicale la società. Sarà dunque il mare umano dell’immensa metropoli di Dacca, che con la sua cintura di municipalità satelliti supera i 18 milioni di abitanti, ad accogliere il Pontefice, 31 anni dopo il viaggio compiuto da Giovanni Paolo II nel 1986.
Con i suoi 153 milioni di abitanti, su una superficie poco più vasta del Nord Italia, il Bangladesh è la nazione più densamente popolata al mondo, 1.034 abitanti per chilometro quadrato. Una moltitudine di persone su un territorio che concentra in sé le maggiori sfide del nostro tempo. Dalla povertà (che qui è estrema per il 36% della popolazione) allo sviluppo sostenibile. Dal fondamentalismo islamico ai cambiamenti climatici. Dalla difficile convivenza fra etnie e religioni diverse ai cambiamenti vissuti da giovani e famiglie, che sempre di più abbandonano i villaggi per riversarsi nelle vaste metropoli. Fino ai diritti dei lavoratori, la vasta schiera di manodopera a basso costo ingaggiata dalle aziende del settore tessile di tutto il mondo, che qui hanno trasferito magazzini e stabilimenti. Il Bangladesh è inoltre il terzo Paese al mondo per numero di emigrati dopo Siria e India: dal 2000 almeno 200 mila persone sono partite ogni anno, con punte di 800-900 mila nel 2007 e 2008. Tutte sfide che interrogano anche la piccolissima Chiesa cattolica che attende Papa Francesco, i cui fedeli costituiscono circa lo 0,3% in una nazione al 90% musulmana; «un pizzico di sale» in un grande piatto di riso, l’ha definita di recente l’arcivescovo di Dacca, il cardinale Patrick D’Rozario.
«Ci aspettiamo che il Papa incoraggi l’apertura al dialogo – spiega da Dacca padre Franco Cagnasso, missionario del Pime (foto in centro, pag. seguente) – anche se qui per le comunità cristiane non è un invito facile da mettere in pratica. Ad agosto il suo appello in favore della popolazione rohingya è sembrato fin troppo filo-musulmano e resta ancora vivo il ricordo della strage di Dacca compiuta dai fondamentalisti nel luglio 2016. Nelle parrocchie l’accento maggiore è sulla gioia e l’onore che con questo viaggio il Papa ci fa. Ma i cattolici sono una piccolissima minoranza. Che cosa davvero potrà portare la sua visita è difficile da valutare». Missionario in Bangladesh dal 1978 al 1983, dopo 18 anni a Roma come vicario e superiore generale del Pime, nel 2002 padre Franco è rientrato a Dacca. Proprio in virtù di questa lunga esperienza è in grado di valutare i cambiamenti degli ultimi decenni.
Nel novembre 2015 il fondamentalismo islamico qui ha colpito anche il Pime, con l’attentato a padre Piero Parolari, missionario e medico originario di Lecco, che è sopravvissuto «per miracolo», come lui stesso sostiene. «Oggi la situazione è difficile da decifrare, perché il fondamentalismo e la violenza si scatenano all’improvviso – osserva padre Franco -. Bisogna dire che, per quanto si riesce a percepire, il governo ha agito con molta decisione sia nella repressione che creando strutture di polizia specializzate nell’anti-terrorismo».
Il Pime, presente in Bangladesh da oltre 160 anni, oggi è rappresentato da 29 missionari, distribuiti fra la capitale e l’area nord-occidentale del Paese. Ha sempre operato soprattutto fra le popolazioni tribali, etnie minoritarie rispetto a quella principale, bengalese e musulmana. «La rapida industrializzazione ha provocato trasformazioni sociali e generazionali marcate – commenta padre Cagnasso -. Per esempio ha portato fuori di casa le donne, che oggi rappresentano la maggioranza della mano d’opera nel settore tessile. Il maggior benessere economico ha fatto crescere una classe media, anche se c’è una schiera di lavoratori che soffre ancora turni di lavoro massacranti e vive in spazi angusti. È diventato più evidente il contrasto fra chi ha un lavoro e paga l’affitto di una casa, anche modesta, e chi è completamente tagliato fuori dallo sviluppo industriale. La maggiore emancipazione della donna è stata accompagnata, però, da una reazione contraria: molte ragazze che vivono in città devono vestire il burqa, mentre altre pagano un giovane per dire che sono sposate e sentirsi così protette».
A essere attraversate da profonde trasformazioni culturali sono soprattutto le giovani generazioni. «Oggi capita di sentire ragazze dire: “La vita è mia”, il che era inconcepibile quando sono arrivato in Bangladesh – continua padre Franco -. Prima i giovani si sposavano a 18 anni, le ragazze anche a 16. Oggi ci sono giovani che ne sanno più dei loro genitori, che magari sono analfabeti ma hanno mandato il figlio, e anche la figlia, a scuola. C’è maggiore istruzione, pure nei villaggi, ma è cresciuto il divario fra generazioni e non è sempre facile capirsi. Chi vive in città, inoltre, perde facilmente i riferimenti con la cultura tradizionale».
Nel programma del viaggio Papa Francesco ha riservato un momento specifico di incontro con i giovani, il 2 dicembre, al Notre Dame College di Dacca. Fondato dalla Congregazione di Santa Croce, il College ha dato vita nel 2014 alla prima università cattolica del Bangladesh. Il Papa vuole incontrare qui gli universitari e i giovani lavoratori. Una scelta significativa, considerato il fatto che il retroterra fondamentalista dell’attentato di Dacca del 2016 è maturato anche in ambienti universitari.
Il Papa arriverà a Dacca giovedì 30 novembre, venerdì celebrerà una Messa durante la quale vi saranno anche le ordinazioni sacerdotali, in una chiesa al momento non ancora resa nota per ragioni di sicurezza. In agenda anche un civic gathering, cioè un incontro a cui parteciperanno rappresentanti della società civile e di altre religioni.
«Questo Papa ha la capacità di intercettare sfide attuali – afferma padre Gian Paolo Gualzetti (foto a sinistra), in Bangladesh dal 1991, missionario a Zirani, nella cintura industriale a nord di Dacca dove si concentrano le aziende del tessile -. La sua visita darà uno stimolo positivo a tante persone, non solo ai cristiani ma a tutti quanti vogliono il bene. Penso che le sue parole potranno incidere, incoraggiare. L’unico rischio è fermarsi agli aspetti folcloristici dell’evento, all’adesione di massa. In questi mesi, però, le parrocchie hanno fatto un buon lavoro di preparazione».
A Zirani, dal 1995, i missionari del Pime e le suore dell’Immacolata hanno dato vita al “Centro Gesù lavoratore” che ospita ragazzi e ragazze arrivati per lavorare in fabbrica, provenienti soprattutto dal Nord del Bangladesh, dove il Pime ha una presenza storica. Oltre all’ostello c’è anche un asilo nido con una ventina di bambini. Alcuni di loro vengono accompagnati dai genitori alle 7 del mattino e ripresi alle 22, il che dà l’idea di quali siano gli orari di lavoro. «Le esigenze delle persone nelle città ci hanno spinto a nuove forme di apostolato – racconta padre Gian Paolo -. In passato le missioni erano costituite secondo uno schema preciso: una scuola, un ostello per ragazzi, un dispensario medico. Anche i cristiani locali sono abituati a vederci così. Ma ora le sfide sono diverse e dobbiamo uscire da un modello che andava bene in passato, ma non è più proponibile in fotocopia». Per padre Gualzetti, la creatività di Papa Francesco sarà d’aiuto: «Pochi in Bangladesh conoscono il suo pensiero, ma alcune encicliche sono state tradotte, e la Caritas nell’ultimo anno si è impegnata nella diffusione della Laudato si’, promuovendo incontri. Considerato il fatto che la Caritas ha anche un buon numero di dipendenti musulmani, il messaggio ha raggiunto altre persone oltrepassando i confini delle comunità cristiane».
Padre Michele Brambilla, superiore della comunità del Pime in Bangladesh (foto a destra), vive nella diocesi di Dinajpur, nel Nord del Paese: «Quando ho dato la notizia della visita del Santo Padre nella parrocchia di Kodbir e in alcuni dei suoi villaggi, la gente ha applaudito – racconta – e gli anziani hanno subito ricordato che già un Papa era venuto tanti anni fa e che alcuni di loro avevano partecipato alla Messa dopo un lungo viaggio. A quel tempo non c’era il grande ponte e bisognava attraversare il fiume con il battello; anche le strade non erano quelle di adesso».
In molti esprimono il desiderio di partecipare e chiedono alle parrocchie di iscriversi. «Uno scoglio è quello economico – sottolinea padre Brambilla – visto che, specialmente qui a Dinajpur, molte famiglie vivono di due raccolti di riso l’anno e non possono permettersi di spendere in due giorni duemila taka (20 euro) a persona, la cifra necessaria per il viaggio e i pasti».
«Dopo la nomina di un cardinale bengalese, la visita del Pontefice esprime il suo interesse per questa piccola Chiesa – conclude padre Michele -. Secondo lo stile del Paese, sarà un grande evento, al quale parteciperanno oltre ai cattolici anche gli altri cristiani. Sono previsti pure incontri con fedeli di altre religioni, un segno dell’apertura della Chiesa verso tutti. Mi auguro che questo evento, e in particolare le parole del Santo Padre, possano aiutare tutti noi a collaborare per lo sviluppo integrale di ogni uomo e donna di questo Paese».