In una società ancora molto maschilista come quella brasiliana, la presenza delle religiose è di fondamentale importanza per le donne che abitano l’Amazzonia
Parlare della donna in Amazzonia significa parlare di un mondo ancora caratterizzato dall’abbandono, dall’invisibilità e dalla debolezza, soprattutto quando ci riferiamo alle zone dell’interno, lontane dai grandi centri urbani. Nella società brasiliana – e in modo particolare in Amazzonia – è ancora molto forte la mentalità maschilista e se la lotta per i diritti delle donne nelle città, pur fragile, è comunque presente, nelle zone più lontane si vive un vero e proprio abbandono. Così, per esempio, può succedere che se una donna o una bambina subiscono violenza, non abbiano letteralmente un posto dove poter sporgere denuncia e trovare protezione. O se anche esiste non si dimostri comunque uno strumento adeguato per ottenere giustizia.
Nei primi sei mesi di quest’anno nel solo Stato dell’Amazonas la Segreteria di Sicurezza Pubblica ha registrato 49 mila crimini contro le donne; ma solo in 13 mila casi vi è stata una denuncia formale. Perché? La violenza domestica nelle grandi periferie o nei piccoli centri lungo i fiumi è una piaga molto grave. A Santa Rita do Weil, piccolissimo centro a poche ore dalla frontiera con il Perù e la Colombia dove siamo presenti noi Missionarie dell’Immacolata, non è raro sentire di notte le urla di un marito che torna a casa ubriaco e se la prende con il resto della famiglia. Alcuni anni fa, appena arrivata a Macapá, rimasi pietrificata nell’assistere per strada a una lite di una coppia durante la quale l’uomo trascinava per i capelli la donna, caduta per terra, per farla tornare a casa.
O che dire della realtà di moltissime donne che si ritrovano sole, abbandonate dai propri compagni, con due, tre o quattro figli da far crescere e – pur esistendo una legislazione che le dovrebbe tutelare – il più delle volte lasciate sole?
Qualche tempo fa una rivista brasiliana online titolava un articolo: «Le religiose sono la principale forza della Chiesa cattolica in Amazzonia». Sinceramente sono d’accordo: la presenza della vita religiosa femminile è molto più capillare della presenza parrocchiale. C’è chi dice che se le Chiese pentecostali e neo-pentecostali, qui in Amazzonia, non hanno ancora spazzato via la Chiesa cattolica è per il grande amore della gente per la Madonna e per la presenza della vita consacrata femminile.
Nei luoghi più difficili, o più lontani, prima del sacerdote arriva sempre la comunità religiosa, che «prepara il terreno», forma leader di comunità, entra in tutte le case, crea legami e amicizie, pone le basi perché la comunità dei discepoli di Gesù possa nascere e crescere, o in qualche caso non morire. È la donna consacrata a farsi compagna di viaggio di molte altre donne calpestate nella loro dignità. Non rifiuta la prima linea nella difesa del diritto dei più poveri ad avere un pezzo di terra, fino al punto di dare la vita. Aiuta altre donne ad organizzarsi in associazioni di economia solidale per favorire un’autonomia economica e l’autostima, associazioni culturali per non perdere le radici della propria storia o semplici gruppi di condivisione perché nessuna più si senta esclusa.
Purtroppo, però, bisogna anche aggiungere che, nonostante gli inviti profetici di Papa Francesco, anche la Chiesa fatica a spogliarsi del clericalismo. La donna, consacrata e no, è molto più che intuizione e sentimento; la donna è lotta, forza, resistenza, protagonismo, discussione, partecipazione, costruzione di processi. È questo a dover essere riconosciuto, dentro e fuori dalla Chiesa.