Al Museo Popoli e Culture del Pime di Milano una mostra-evento dedicata alla cultura dei karen del Myanmar, che testimonia il prezioso lavoro dei missionari per la valorizzazione delle tradizioni tribali
Sarà un insolito incontro tra echi del passato e voci del presente la mostra di oggetti, abiti, tessuti e decorazioni karen che il Museo Popoli e Culture ospiterà al Centro missionario Pime di Milano dal 20 novembre al 13 gennaio 2020. Le voci saranno quelle di quattro rappresentanti e attivisti culturali karen, etnia minoritaria del Myanmar, che interverranno in una conferenza parallela all’evento il 29 novembre, portando la propria testimonianza di vita, accompagnati dal dottor Georg Noack, conservatore del Linden Museum di Stoccarda e studioso della loro cultura. Ma facciamo un passo indietro, per ripercorrere insieme la sorprendente genesi di quest’iniziativa. Nel gennaio 2018, il dottor Noack, interessato a svolgere delle ricerche sui karen, contatta la biblioteca del Pime per consultarne il patrimonio librario e fotografico. Vuole infatti approfondire lo studio di usi e costumi di quelle popolazioni per valorizzarne le collezioni già presenti nel suo museo. E sa che a Milano può forse trovare quello che cerca. In un suo precedente viaggio tra i monti del Myanmar orientale, dove vive la maggioranza dei karen, la gente del luogo gli aveva parlato dei missionari del Pime e, in particolare, di padre Grato Meroni: molti karen si ricordavano ancora di lui per i suoi studi sulla loro cultura e per il fatto che, tornando in Italia, avesse portato con sé alcuni tessuti tradizionali.
Il legame che unisce la ex Birmania al Pime risale all’arrivo dei primi missionari nel 1867, anche se le vicissitudini politiche del Paese portarono nel 1966 all’espulsione di tutti i missionari entrati prima dell’indipendenza birmana dagli inglesi, proclamata nel 1948. Negli anni della loro presenza tra le cosiddette “tribù dei monti”, come i karen, i missionari del Pime hanno offerto un grosso contributo alla conservazione delle loro tradizioni, codificando in testi scritti, con alfabeti e simboli a volte appositamente creati, i linguaggi locali fino ad allora esclusivamente orali. In biblioteca, sfogliando le vecchie annate della rivista Le Missioni Cattoliche – come si chiamava il periodico del Pime prima di diventare Mondo e Missione – Noack si trova dinanzi a una mole di documenti significativa e preziosa, costituita da articoli, racconti, lettere e testimonianze originali dei missionari, già dai primissimi anni del loro arrivo nel Paese asiatico. Anche la fototeca del Pime rivela i suoi tesori: rari album fotografici e cartoline d’epoca che raccontano storie di vita e aspetti inediti delle popolazioni che lui sta studiando.
Dall’archivio storico dell’Istituto emerge infine il quaderno su cui padre Grato, che visse in Birmania dal 1948 al 1960, appuntava le sue osservazioni negli anni di missione. Note metodiche e precise, da cui trapela il fascino che quella terra e le sue popolazioni esercitavano sul missionario: «La Cariania – si legge – è quel tratto della Birmania che si estende dal fiume Sittang al Saluen. Il Paese è montagnoso e i monti sono coperti da una meravigliosa vegetazione tropicale, perenne, quindi gli alberi sono altissimi, fino a cinquanta metri… Allo stato presente degli studi è impossibile dire con certezza donde vennero i cariani, che sicuramente non sono originari del Paese che ora occupano. Paiono di razza mongola, anche le loro tradizioni orali fanno passare i loro antenati in viaggio per questi monti attraverso un gran deserto che non può essere che il Gobi. Così è oltremodo difficile giudicare donde trassero certe veramente belle tradizioni sulla divinità, sul culto, ecc…».
Dopo qualche ulteriore ricerca, a Garbagnate Milanese, paese d’origine di padre Meroni, vengono ritrovati anche i famosi tessuti di cui i karen intervistati da Noack in Myanmar conservavano il ricordo: erano custoditi dalle nipoti di padre Grato che hanno quindi voluto farne dono al Museo del Pime, dove saranno esposti in occasione della mostra.
Il gruppo etnico dei karen, che comprende i sottogruppi kayan e kayaw a cui appartengono i quattro rappresentanti culturali in arrivo a Milano, popola perlopiù la regione corrispondente allo Stato Kayah e ad alcune aree negli adiacenti Stati Kayin e Shan.
La loro travagliata storia degli ultimi due secoli, contrassegnata prima dall’alleanza con il governo coloniale inglese e successivamente da sanguinosi conflitti per rivendicare l’autonomia dall’autorità birmana, ne ha condizionato dolorosamente la cultura e il modo di vivere. «Dal 1948 al 2012 – racconta Noack – quando finalmente è stato firmato un cessate il fuoco tra i gruppi indigeni armati e l’esercito governativo birmano, la regione karen ha vissuto 64 anni di una guerra sempre più brutale, che ha causato numerose vittime, feriti e migliaia di civili sfollati». Se si considera che molti membri delle comunità tribali non parlano la lingua ufficiale birmana e che le loro tradizioni si tramandano spesso solo oralmente, non è difficile immaginare quanto sia alto per i giovani il rischio di perdere la propria identità culturale.
«Alla luce di tutto questo, gli oggetti conservati nei nostri musei – conclude Noack – assumono il valore di testimonianze originali ed esempi di quelle culture tradizionali che attualmente, in un clima di relativa pacificazione raggiunta, le organizzazioni e i comitati culturali karen stanno cercando di rivitalizzare».