L’impegno della Chiesa della Corea del Sud per la riconciliazione, a partire dalla vicinanza alle famiglie divise dal conflitto. E ogni martedì a Seoul si prega per l’unità
Continuare a guardare alla divisione come a una ferita da ricomporre, tenendo nel cuore anche le comunità che vivono al di là del 38° parallelo. Tra le forze che persino nei momenti più duri non hanno mai smesso di guardare con amicizia alla Corea del Nord, c’è la Chiesa cattolica di Seoul, da sempre in prima linea sulla frontiera della pace con Pyongyang. Un impegno portato avanti pure oggi che la politica in Estremo Oriente sembra marciare in direzione opposta.
È una vocazione legata a una precisa responsabilità: l’arcivescovo di Seoul da decenni è anche l’amministratore apostolico di Pyongyang, cioè l’erede di monsignor Francis Hong Yong-ho, l’ultimo vicario apostolico locale scomparso nel nulla insieme a decine di sacerdoti e religiosi dopo l’affermazione del regime comunista di Kim il Sung nel 1948. E anche in forza di questo negli anni la Chiesa cattolica della Corea del Sud ha tenuto vivi non solo la memoria delle comunità cattoliche del Nord, ma anche il bisogno di andare oltre la logica dello scontro tra due mondi contrapposti.
Lo affermavano ancora con forza i vescovi in un messaggio diffuso l’anno scorso in occasione dei 70 anni dell’armistizio che nel luglio 1953 sancì la divisione, con tutte le sue ferite. Una ricorrenza coincisa con le nuove tensioni di oggi tra Pyongyang e Seoul, con i test missilistici di Kim Yong Un e le risposte muscolari dell’attuale presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol.
«Se vogliamo evitare la guerra e ridurre le tensioni militari, dobbiamo riavviare colloqui seri – scrivevano i vescovi in quell’occasione -. Anche se il cammino può essere lungo e faticoso, non possiamo rinunciare ai nostri sforzi per la pace nella penisola coreana. Noi credenti, sull’esempio di Cristo, crediamo che il perdono e gli sforzi di riconciliazione siano di primaria importanza e siamo fiduciosi che la vera pace possa essere raggiunta attraverso la fiducia. Gli incontri sinceri, il dialogo e gli sforzi di comprensione reciproca, non le armi ad alta tecnologia e le potenti forze militari, sono la strada per la pace».
Questo spirito nella Chiesa coreana da quasi trent’anni ha un volto ben preciso: quello del Comitato per la riconciliazione tra le Coree istituito il 1° marzo 1995, nel cinquantesimo anniversario della liberazione dal Giappone, dal cardinale Stephen Kim Sou-Hwan, grande figura della Chiesa coreana, scomparso nel 2009 (e di cui è in corso la causa di beatificazione). Guidato oggi dall’arcivescovo di Seoul, Peter Chung Soon-Taick, è impegnato in varie attività pastorali dedicate alla pace e alla riconciliazione nella penisola coreana, basandosi sui valori fondanti della preghiera, dell’educazione e della condivisione. La sua iniziativa più nota è la Messa per la riconciliazione che proprio dal 1995 ogni martedì viene celebrata alle 19 nella cattedrale di Myongdong a Seoul.
A questo gesto dal 2015 si è unito anche un luogo particolarmente significativo: la chiesa del Pentimento e della purificazione che sorge a Paju, nella zona demilitarizzata al 38° parallelo, la linea che segna il confine tra le due Coree. Richiama nello stile architettonico la Porziuncola, la chiesa di san Francesco ad Assisi, proprio per portarne il messaggio di pace in un luogo segnato dalla guerra. Ed è significativamente decorata con mosaici eseguiti da artisti nordcoreani come simbolo del desiderio di riunificazione della penisola.
Nello scorso mese di settembre proprio alla chiesa del Pentimento e della purificazione le tre diocesi di Seoul, Suwon e Uijeongbu hanno promosso per la prima volta insieme la celebrazione di una Messa con gli esuli nordcoreani che vivono al Sud. La Messa è stata un’occasione speciale per le famiglie divise dal conflitto. «Ho incontrato i miei amici della nostra terra natale che vivono nella provincia di Gyeonggi – ha raccontato in una testimonianza diffusa dall’arcidiocesi di Seoul la signora Anna Han -. Ho conservato i ricordi della mia famiglia al Nord e ho pregato per loro durante la Messa, sperando di poter tornare un giorno». «Ogni Capodanno e ogni giorno del Ringraziamento, porto i miei figli nei luoghi dove posso vedere la Corea del Nord da vicino e racconto loro le storie dei miei parenti che ci vivono. Il dolore per la divisione è molto sentito», ha detto Francisca Romana Mikyung Kim.
Attualmente sono circa 34 mila i nordcoreani che vivono al Sud. «Se in passato il sostegno e l’accompagnamento della Chiesa cattolica nei loro confronti si concentrava maggiormente sull’accoglienza iniziale – racconta padre Ignatius Jung Soo-Yong, vice-presidente del Comitato per la riconciliazione – ora ci chiedono anche un accompagnamento pastorale e spirituale. Tra noi a Seoul ripetiamo spesso la frase: “Finché li ricorderete, essi continueranno a vivere. E tutti i tuoi desideri si avvereranno, purché tu preghi”».
In questo cammino la Chiesa coreana guarda anche alla Giornata mondiale della gioventù che si terrà a Seoul nel 2027 come a un’occasione importante: l’arcivescovo Chung ha confidato un grande sogno, quello di poter aver presenti all’incontro con il Papa anche giovani che vivono in Corea del Nord, un po’ come capitò in Corea del Sud nel 2018 per le Olimpiadi invernali di Pyeongchang. «Attualmente sia la situazione internazionale sia le relazioni politiche tra Seoul e Pyongyang non favoriscono questa presenza – ha commentato qualche settimana fa a Roma, rispondendo a una domanda su questo tema durante la presentazione del tema e del logo della Gmg 2027 -. Ma noi desideriamo tanto invitarli».