Originario di un villaggio della Guinea-Bissau, padre Domingos è missionario in una regione montuosa del Messico tra il popolo mixteco
Da uno sperduto villaggio della Guinea-Bissau a un altrettanto remoto angolo del Messico. Padre Domingos Tchuda, missionario del Pime di 42 anni, tiene insieme dimensioni diverse e apparentemente lontanissime, non solo in senso geografico. Figlio di genitori non cattolici, ha coltivato la fede grazie a una zia, con cui è cresciuto; ha ammirato il coraggio di tanti missionari, che avevano lasciato tutto per dedicarsi alla sua gente; ha maturato un po’ alla volta l’idea che quella vita potesse essere anche la sua. E così è stato.
Da quattro anni padre Domingos vive in Messico e da tre è nella missione di La Concordia, sulle montagne dello Stato del Guerrero, in mezzo al popolo mixteco, sparpagliato in tanti piccoli villaggi. «È una gioia grande per me!», dice di passaggio in Italia, tappa obbligata tra il Messico e la Guinea-Bissau, ma anche il Paese in cui si è formato. Tre continenti, tre Paesi, culture diverse e modi diversi di vivere la fede, che per padre Domingos rappresentano una sfida sempre nuova, fatica e stupore, la necessità di rimettersi continuamente in gioco, ma anche la bellezza di vivere l’incontro. «Il primo prete che ho conosciuto è stato un missionario del Pime, padre Salvatore Camilleri – ricorda padre Domingos – un uomo di fede, ma anche un grande lottatore sui temi sociali. Aiutava moltissimo la gente pure nelle zone più remote del mio Paese. Quello che faceva e come lo viveva mi interrogavano. Mi colpiva molto il fatto che avesse lasciato la sua casa, la sua famiglia, tutto per stare in mezzo al mio popolo e mi affascinava che fosse partito per annunciare il Vangelo e aiutare gli altri. Era qualcosa che suscitava in me tante domande».
Da quella fascinazione iniziale all’ordinazione sacerdotale sono passati tanti anni, tra discernimento e formazione, un lungo percorso completato con gli studi di teologia in Italia, per poi tornare a Bissau per l’ordinazione, il 26 luglio 2014 nella parrocchia del Pime di Nostra Signora di Fatima. «I miei genitori non sono cattolici e seguono la religione tradizionale, ma sono contenti di avere un figlio sacerdote. Loro, come gli altri membri non cristiani della mia famiglia, hanno capito che ciascuno è chiamato a seguire la sua strada. Mio fratello maggiore, poi, ha collaborato molto con padre Roberto Donghi, che purtroppo è deceduto alcuni mesi fa; anche mio padre era molto legato a lui e gli aveva regalato un grande terreno vicino a Catió su cui aveva fatto costruire la chiesa».
Quella di Domingos è una delle prime vocazioni guineane del Pime e lui è uno dei primi missionari di quel Paese partiti per il mondo. Prima, c’era stato solo padre Gaudencio Pereira, attualmente in Papua Nuova Guinea, all’altro capo del pianeta, mentre con Domingos è stato ordinato sacerdote padre Raul Bonte Co che, dopo essere stato in Bangladesh e Thailandia, attende ora di partire per il Brasile. «Io stesso avrei voluto andare in Brasile – dice padre Domingos -. Avevo avuto alcuni formatori di quel Paese, che mi hanno trasmesso la curiosità e il desiderio della missione lì o comunque in America Latina. Mi hanno destinato al Messico. È stata ed è per me una gioia grande».
L’impatto, però, non è stato facile, soprattutto il primo anno in cui il giovane missionario africano ha vissuto in una capitale enorme e tentacolare come Città del Messico, la cui zona metropolitana supera i 20 milioni di abitanti: un contesto lontano anni luce dal suo villaggio, ma anche dalla capitale Bissau. Dopo aver studiato la lingua, padre Domingos si è trasferito in una parrocchia vicino ad Acapulco per fare un’esperienza pastorale con un prete diocesano. «All’inizio è stato un po’ difficile, era tutto nuovo per me che non sono messicano. La gente però ti accoglie benissimo. Nella zona di Acapulco, poi, ci sono tante persone di origine africana, molti discendenti degli schiavi, che hanno conservato tradizioni, costumi e liturgie…. Avevo bisogno di inculturarmi nella nuova realtà. Ci sono alcune specificità e alcune devozioni che non conoscevo, come quella per la Vergine di Guadalupe a cui tengono moltissimo. In parrocchia, la domenica, si celebravano cinque Messe; si cominciava alle 8 di mattina e si terminava alle 6 di sera. Alle fine ero sfinito ma è stato bellissimo!».
Dopo qualche mese, un nuovo cambiamento, e un’altra realtà completamente diversa: quella degli indigeni mixtechi della parrocchia di La Concordia, nel Sud del Paese. Affidata al Pime dieci anni fa, vede attualmente la presenza di padre Paulo De Amorin, brasiliano, in attesa che arrivi padre Mauro Pazzi, italiano. In parrocchia, ci sono anche tre suore messicane che si dedicano prevalentemente alla catechesi e si occupano del dispensario.
La parrocchia comprende 32 villaggi sparsi su un territorio molto vasto e montagnoso, alcuni anche a 1.800 metri di altezza, non facilmente raggiungibili per la mancanza di strade asfaltate e di infrastrutture. «È gente molto povera e semplice e per molti versi marginalizzata – racconta padre Domingos -; lo Stato del Guerrero è il più povero del Paese e anche tra i più pericolosi, a causa della produzione e del traffico di droga. Qui le armi si possono acquistare molto facilmente; le trovi anche sui social e le vedi in mano pure ai bambini».
Per questo, in parrocchia, oltre all’attività pastorale, si insiste molto sul tema dell’educazione: «Nei villaggi ci sono solo le scuole elementari, poi i ragazzi sono costretti ad andare altrove, ma molte famiglie non possono permettersi di farli studiare. Molti giovani vanno a lavorare alla frontiera dove vengono sfruttati come schiavi nelle piantagioni di frutta e verdura. Stanno via anche diversi anni senza mai ritornare e così tante famiglie sono disgregate. Noi cerchiamo di far loro capire che possono migliorare le loro condizioni di vita anche rimanendo sul posto e per questo organizziamo diversi incontri per aiutarli a diventare protagonisti attivi delle loro vite. Hanno bisogno di avere fiducia in loro stessi: spesso pensano di essere poveri perché sono indigeni».
Padre Domingos ha un sogno: «La parrocchia ha un terreno grandissimo. Mi piacerebbe realizzare un centro di formazione agricola che sia d’esempio e che dica loro che ce la possono fare». Ma per farlo padre Domingos ha bisogno, a sua volta, di essere aiutato, grazie al progetto K748 della Fondazione Pime.