India, missionarie (anche) a casa propria

India, missionarie (anche) a casa propria

«Il nostro Paese unisce tanti Stati con culture diverse e ben 28 lingue. L’annuncio passa attraverso l’impegno, dalla sanità all’educazione». Parla suor Biji Philip, già preside di una grande scuola a Vijayawada.

Che avrebbe potuto essere missionaria anche all’interno dei confini del suo stesso Paese suor Biji lo capì già ai tempi del noviziato, a diciassette anni, quando, trasferitasi in Andhra Pradesh dal natio Kerala, si trovò a condividere la quotidianità con ragazze indiane come lei che però si esprimevano in cinque o sei lingue diverse e per capirsi tra loro dovevano usare l’inglese. «Per comunicare con la gente dei villaggi, poi, ho dovuto imparare il telugu, visto che la mia madrelingua è il malayalam, e abituarmi a una cultura per me del tutto nuova: perfino il cibo era diverso!», racconta la religiosa oggi 46enne che dal 2018 è consigliera generale delle Missionarie dell’Immacolata.

 

Fino ad allora, suor Biji Philip Koonamparayil era stata consigliera della Provincia di Vijaya­wada, la più grande dell’Istituto in India – le altre sono Delhi, Hyderabad e Siliguri. E proprio dal grande Paese asiatico dove le “pioniere” italiane arrivarono nel 1948 proviene oggi la grande maggioranza delle consorelle (già nel 2006 il consiglio generale aveva nominato superiora un’indiana, suor Rosilla Velam­parambil).
Tra queste c’era anche la sorella maggiore della giovanissima Biji, che fin da bambina cominciò così a respirare lo stile missionario: «Ricordo bene quando mia sorella tornava a casa per le vacanze e ci raccontava di come andasse nei villaggi per parlare del Vangelo alla gente».
Ma per la ragazzina che, alla scuola delle suore francescane, amava leggere la rivista “Piccolo missionario”, la svolta decisiva arrivò nel 1990 quando, in vista del grande Giubileo del 2000 indetto da Papa Giovanni Paolo II, la sua parrocchia avviò un percorso in preparazione incentrato sul versetto di Marco: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”. «Cominciai a pensare alle tante persone che, nel mio stesso Paese, ancora non conoscono Gesù e sentii l’ispirazione a dare la mia vita per annunciarlo».
In India, tuttavia, questa scelta si scontra con alcuni ostacoli: «Da noi il proselitismo diretto è vietato. Quindi l’Istituto ricorre a quella che chiamiamo “proclamazione indiretta” attraverso diverse iniziative di apostolato: nell’educazione, nella sanità, nell’impegno sociale in vari settori», spiega suor Biji. «A me fu proposto di approfondire gli studi nel settore educativo e poi, da giovane suora 31enne, mi fu chiesto di assumere la responsabilità della Nirmala High School di Vijayawada, un istituto in cui studiano circa 3.600 studenti, maschi e femmine, dalla materna ai 15 anni». Si tratta della più nota tra le molte scuole che le Missionarie dell’Immacolata gestiscono nel Paese.

 

«La scelta educativa, dettata in origine dalle necessità di alfabetizzazione dei ragazzi, resta cruciale anche oggi perché permette di promuovere i valori alla base della nostra fede tra le giovani generazioni», spiega la religiosa. Sebbene la preferenza nelle ammissioni sia data ai poveri e ai cristiani, la maggioranza degli allievi è costituita da indù e musulmani: «Queste famiglie scelgono le nostre scuole perché apprezzano l’alta qualità dell’istruzione, con le lezioni in inglese, ma anche i principi morali che veicoliamo». Pure lo staff è misto: alla Nirmala High School su un centinaio di docenti e operatori i cattolici sono solo una ventina.
E il dialogo interreligioso diventa un’abitudine quotidiana: «A scuola ricordiamo le principali festività delle diverse fedi, sottolineando i valori comuni. E naturalmente abbiamo l’occasione per far conoscere meglio il cristianesimo, che nella società indiana è minoritario».
Sorgono mai tensioni? «I genitori dei nostri studenti ci conoscono e ci apprezzano, quindi il clima è generalmente sereno. Ma qualche problema con l’hindutva, l’ideologia nazionalista indù, a volte può capitare, sebbene al Sud da questo punto di vista la situazione sia più tranquilla rispetto alle regioni settentrionali». Pure le discriminazioni sulla base della casta restano fuori dalle aule: «A scuola non accettiamo distinzioni: le famiglie lo sanno e si comportano di conseguenza».
Per gli allievi cattolici, poi, le suore organizzano speciali programmi di animazione – dagli incontri formativi ai servizi di volontariato -, che coinvolgono tutta la rete delle loro scuole. E molti degli ex studenti, riuniti in associazione, si trasformano poi in testimoni nella vita quotidiana dei valori che hanno imparato in classe, distinguendosi anche per l’impegno concreto a servizio dell’istruzione per i ragazzi più poveri.

 

L’annuncio diretto del Vangelo e l’assistenza pastorale – con un’attenzione costante ai villaggi rurali – le missionarie devono riservarli alle parrocchie. «Il messaggio cristiano, però, passa anche attraverso tutte le nostre altre attività, come l’assistenza ai malati di lebbra o di Aids, la gestione di ospedali e dispensari, il lavoro con i migranti, l’accoglienza e la promozione delle ragazze nei nostri ostelli, il servizio alle persone con disabilità», racconta suor Biji. In tutti questi campi, l’impegno delle missionarie indiane è oggi preponderante, anche per ragioni molto concrete, visto che il governo non accetta più religiosi stranieri: «Le nostre suore locali sono attive in 17 dei 29 Stati dell’India, e la loro è una vera missione “ad extra”, vista l’eccezionale multiculturalità del­lo Stato, che conta 28 lingue ufficiali». Ciò non toglie che, già dal 1968, moltissime esponenti indiane dell’Istituto siano partite per annunciare il Vangelo in altri continenti. E continuino a farlo. «Il nostro carisma non smette di attrarre giovani pronte a dare tutta la vita per la missione, in India – dove insieme ai padri del Pime abbiamo contribuito alla crescita della Chiesa locale – come in tutto il mondo».