Il 20 ottobre suor Francesca Centorame pronuncerà la sua professione perpetua e riceverà il mandato per la provincia Camerun-Ciad. Ma il desiderio di servire gli ultimi in terre lontane aveva messo radici nel suo cuore tanti anni fa
Era l’estate del 2009 quando Francesca, giovane studentessa di Scienze infermieristiche nata e cresciuta a Roseto degli Abruzzi, in provincia di Teramo, mise piede per la prima volta nel cuore dell’Amazzonia brasiliana. Era arrivata a Maués, sulle rive del Rio delle Amazzoni, grazie al contatto con la missionaria dell’Immacolata suor Dora Scorpioni, pure lei abruzzese di Roseto. Per tre settimane, Francesca si immerse nella vita quotidiana della religiosa e la accompagnò nei viaggi in barca per visitare i villaggi remoti lungo il corso del fiume, dove lei e il parroco riuscivano ad arrivare solo una volta all’anno. «Ricordo lo sguardo di una donna che, al termine di una di quelle visite, ci scortò alla barca per poter restare fino all’ultimo momento insieme alla suora, perché aveva bisogno di qualcuno che la ascoltasse: ho sentito che la missione avrebbe fatto parte della mia vita, anche se non sapevo ancora in che modo».
A distanza di quindici anni, Francesca Centorame, oggi 35enne, si prepara a pronunciare la professione perpetua per diventare missionaria dell’Immacolata. Lo farà il 20 ottobre, nella sua parrocchia di origine, dove è cresciuto il seme della sua vocazione. La missione, infatti, l’aveva conquistata ancora prima di arrivare in Amazzonia. «Ricordo, da bambina, le preghiere e le collette a favore del nostro parrocchiano padre Enrico Fidanza, del Pime, che allora operava nella lontana Cambogia – racconta -. A undici anni, poi, entrai a far parte del Movimento giovanile missionario, oggi Missio giovani. Ebbi così l’occasione di incontrare tanti padri del Pime e suore dell’Immacolata che venivano in parrocchia per l’animazione, o portavano la loro testimonianza ai campi estivi».
Fu proprio durante questi campi che Francesca, allora studentessa al liceo scientifico, appassionata di basket e attiva nel volontariato, ebbe modo di conoscere diversi missionari da vicino, nella quotidianità: «Da una parte mi rendevo conto di come queste persone fossero felici, di come la loro vita di servizio, che raccontavano con passione, li rendesse pieni, e questo mi affascinava. Dall’altro, sperimentai che si trattava di persone normali, con i loro difetti e difficoltà. Ricordo una volta in cui una suora si era risentita per uno scherzo che le aveva fatto una consorella: al momento questa vicenda mi spiazzò un po’, ma poi mi sentii rassicurata perché capii che non era necessario essere perfetti per offrire la propria vita a Gesù». Un’idea che, nel profondo del cuore, la giovane cominciava ad accarezzare. Nel frattempo, traduceva il suo crescente desiderio di prendersi cura degli altri negli studi in Scienze infermieristiche. «Durante i tre anni di corso – racconta -, approfondii la mia ricerca vocazionale e, passo passo, la via si è fatta chiara: alla fine degli studi, dopo avere lavorato come infermiera per sei mesi, ho iniziato il percorso all’interno delle Missionarie dell’Immacolata».
I primi anni, quelli chiamati del “pre noviziato”, furono dedicati allo studio delle Scienze religiose a Milano. «Da novizia, poi, ho avuto la possibilità di fare un’esperienza comunitaria in India», continua la religiosa. «Ho trascorso così quasi cinque mesi a Haldwani nello Stato dell’Uttarakhand, ai piedi dell’Himalaya, dove le suore gestivano un piccolo dispensario. Per me è stata un’altra esperienza fondamentale. Non avevo compiti straordinari, aiutavo nell’accoglienza all’ospedale e nelle incombenze quotidiane della comunità e questo mi ha permesso di vivere la vicinanza con le persone che incontravo. C’era una ragazza che lavorava come cuoca e, mentre le davo una mano, abbiamo intessuto una relazione, nonostante gli ostacoli linguistici. Lei mi raccontava le sue fatiche da giovane sposa in un contesto familiare opprimente. Io, semplicemente, cercavo di farle sentire il calore e il supporto di cui aveva bisogno. E poi c’era la condivisione dell’ordinarietà di una parrocchia di quindici persone, che vivevano la fede in un modo così diverso da come ero abituata io… eppure pregavano lo stesso Dio».
Nel 2018, con la prima professione religiosa, suor Francesca viene destinata a Pozzuoli e, in seguito, torna a coltivare la sua vocazione alla cura dei bisognosi attraverso gli studi in Terapia della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva: «Così, basata nella nostra comunità di Roma, a Torre Gaia, ho frequentato i corsi all’Università di Tor Vergata. Tre anni intensi e belli, fatti di apostolato quotidiano in un contesto laico».
Dopo la laurea, nel novembre del 2023, suor Francesca ha iniziato a lavorare come terapista con una cooperativa romana in cui aveva svolto un tirocinio e, lo scorso febbraio, è stata tra le quattro consorelle – con lei una brasiliana e due papuane – che hanno inaugurato la nuova presenza missionaria nel quartiere multietnico di Torpignattara. Finché, con la decisione della professione perpetua, a maggio è arrivata la destinazione della giovane suora abruzzese: la provincia Camerun-Ciad.
«Non me l’aspettavo – confessa – e non so ancora quale sarà la comunità in cui presterò servizio. Presto partirò per Yaoundé, in Camerun, per lo studio della lingua, e poi offrirò le mie competenze come infermiera e come terapista della neuropsicomotricità in una delle realtà gestite dalle suore, come il centro di Djalingo per la riabilitazione di bambini con disabilità. Ciò che conta oggi, per me, è che starò in mezzo a un popolo condividendo tutta me stessa, ciò che ho ricevuto e vissuto nella mia vita e anche i miei limiti, nella certezza che il Signore ci unisce. Come diceva il beato Paolo Manna: “Abbiate sempre Gesù davanti agli occhi!”».