L’invito del Papa per la Giornata missionaria 2024 riletto nella città dell’Amazzonia brasiliana con padre Francesco Sorrentino: «Portiamo una speranza a chi migra sul grande fiume e si trova a vivere nel degrado». Ascolta anche il PODCAST
Le palafitte che si assiepano lungo i bordi del Rio Guamá a Jurunas, uno dei quartieri più poveri di Belém, sono state tirate su poco lontano dal Portal da Amazônia, il lungofiume che attira i turisti in visita alla grande città coloniale nota appunto come la “porta d’accesso” all’Amazzonia brasiliana. I nomi delle vie intorno – Mundurucus, Apinagés, Tupinambás… – echeggiano quelli di altrettante comunità indigene, che per prime hanno risieduto su questa terra. A loro, tuttavia, negli ultimi decenni si sono aggiunti migliaia di ribeirinhos, abitanti delle isole fluviali arrivati in canoa dall’interno della foresta, attratti dalle opportunità della vita urbana. Qui hanno trovato un lavoro al porto locale, che brulica di facchini e di ceste di pesce e frutti di açai dirette al mercato, ma anche una quotidianità dura in mezzo a miseria, traffici e violenza.
Tra le baracche fatiscenti, dove l’elettricità non arriva e, seppur si viva in simbiosi con il fiume, spesso manca l’acqua da bere, padre Francesco Sorrentino è di casa. Viene in visita ai fedeli che fanno riferimento alla sua parrocchia di Santa Luzia, proprio nella zona del porto, ma anche a quelle famiglie che, in chiesa, non si fanno vedere mai. «Grazie all’aiuto di molti laici impegnati in prima persona nella vita della comunità, cerchiamo di trovare le occasioni per portare alla gente la buona notizia del Vangelo», racconta il missionario del Pime, 44enne originario di Galatina (Lecce).
In questo angolo della capitale del Pará, l’esortazione del Papa nel suo messaggio per la Giornata missionaria mondiale, “Andate e invitate al banchetto tutti”, è vita quotidiana. «Siamo in uno dei quartieri più popolati e sovraffollati di Belém: più di 65 mila abitanti in un’area di circa 2,5 km quadrati», racconta padre Francesco, arrivato qui nel 2021 per unirsi alla missione del confratello padre Flavio Piccolin e oggi alla guida di una delle due parrocchie locali, abituate a un impegno pastorale decisamente di frontiera. «I residenti di questa zona, che per il 70% è occupata da abitazioni irregolari in uno spazio del tutto privo di progettualità urbana, subiscono gravi carenze di servizi e una marginalità che è terreno fertile per la delinquenza. Nel 2022 – per farsi un’idea – nel quartiere abbiamo contato tredici morti violente».
Uno di questi omicidi ha riguardato un ragazzo che frequentava la parrocchia di Santa Luzia: «L’hanno ammazzato con quattro colpi di pistola, era coinvolto in traffici di droga…», spiega mesto il missionario, che da quando è arrivato in Brasile – nel 2007 – si è sempre speso soprattutto a fianco dei giovani. Come quelli delle aree remote nella foresta o lungo i fiumi di Laranjal do Jari, area interna dello Stato di Amapá in cui ha trascorso quattro anni – «per loro la parrocchia era un’opportunità notevole», ricorda – o gli studenti di diversi atenei della capitale Macapá, dove padre Francesco ha avviato e portato avanti per sette anni la pastorale universitaria.
I ragazzi di Jurunas vivono sfide ancora diverse: «Sono giovani assetati di ascolto, di accoglienza e anche di qualcuno che li aiuti a camminare, perché spesso vengono da situazioni familiari difficili e soffrono la carenza di figure educative e punti di riferimento», racconta il sacerdote pugliese. Nemmeno la scuola rappresenta un presidio garantito per i più piccoli: «Non è detto che ci vadano o che frequentino le lezioni con costanza. Durante le attività in parrocchia, ci capita di accorgerci che molti ragazzi di 12 o 13 anni non sanno leggere…». Allora, da dove cominciare? «Da spazi sicuri in cui incontrarsi, giocare al pallone e sentirsi tranquilli. Per questo, alla domenica e al lunedì, il capannone accanto alla nostra chiesa si trasforma in un oratorio, dove bambini e adolescenti imparano a stare insieme, a rispettarsi, a divertirsi in amicizia, a pregare. Tre volte alla settimana, invece, in parrocchia organizziamo corsi di chitarra e flauto: la musica educa, unisce e alimenta la passione per il bello».
E poi c’è la catechesi, dal gruppo dei ministranti a quello dei giovani. «Abbiamo fatto partire anche la pastorale della comunicazione: i ragazzi sono molto abili con i social, i video, le foto… E allora li coinvolgiamo, sempre portando avanti un cammino di fede, e loro usano questi strumenti per fare conoscere ciò che avviene in parrocchia, divulgare l’invito per eventi e incontri, mostrare che la comunità di sta muovendo ed è aperta a tutti». Una vocazione missionaria di cui proprio i più piccoli, spesso, si fanno protagonisti: «Sono i nostri ragazzini a organizzare semplici tornei di calcio a cui invitano i loro amichetti che non frequentano la chiesa, quelli che magari vivono in quei luoghi, tra gli agglomerati di palafitte, dove non sempre noi sacerdoti riusciamo ad arrivare».
Anche padre Francesco e padre Flavio, comunque, fanno di tutto per non rinchiudere il loro ministero – e l’annuncio del Vangelo – all’interno delle mura della chiesa, sulla cui facciata campeggia un dipinto colorato della patrona santa Lucia. «Proprio la devozione popolare alla santa, o la grande festa del Círio de Nazaré (vedi pag. 47), amatissima celebrazione locale, diventano a volte il veicolo per raggiungere le zone più lontane, in tutti i sensi, e provare a portare anche lì un contenuto di fede viva. Durante le tradizionali peregrinações andiamo di casa in casa con la statua della Madonna, teniamo momenti di preghiera e riflessione e invitiamo a partecipare alla vita della comunità. A darci una mano ci sono tanti laici, tra cui i giovani».
La stessa struttura ecclesiale, qui a Jurunas, è «decentralizzata», come la definisce padre Sorrentino. «Abbiamo sette nuclei missionari, cioè settori di territorio dove in futuro sorgeranno altrettante comunità, che raggiungiamo regolarmente per celebrare la Messa: a volte a casa di qualche fedele, altre per la strada, sul marciapiede. In queste occasioni visitiamo anche le famiglie locali, ci avviciniamo alla gente». E c’è chi risponde all’invito. «Quest’anno alla nostra Colonias de férias, cioè un oratorio estivo in salsa brasiliana, hanno partecipato ottanta bambini e adolescenti dai 5 ai 13 anni. È importante, perché altrimenti molti ragazzi trascorrono le vacanze per la strada, con tutti i pericoli che si possono immaginare. Un dettaglio molto bello è che quest’anno siamo riusciti a coinvolgere, almeno nella Messa di chiusura, anche i genitori: alcuni mi hanno raccontato che a invitarli con insistenza erano stati proprio i loro bambini».
I semi di Vangelo, sparsi in una realtà piena di contraddizioni, germogliano dove meno te lo aspetti. Di recente, un adolescente che non era battezzato ha iniziato il cammino del catecumenato, giovani che si erano allontanati dalla fede sono tornati a frequentare la parrocchia e c’è chi ha scelto di impegnarsi in qualche servizio alla comunità, sebbene qui spesso i ragazzi comincino a lavorare già da minorenni per dare una mano alle loro famiglie.
Per padre Francesco, Belém – questa grande città di un milione e mezzo di abitanti piagata dalle diseguaglianze, in cui i benefici dei massicci lavori di riqualificazione in vista della Cop30 dell’anno prossimo difficilmente toccheranno le vite dei più poveri – è l’emblema della grande sfida missionaria dell’Amazzonia, quella urbana. «L’immaginario collettivo – spiega – si ferma di solito alle foreste e alla pastorale delle comunità lungo i fiumi, ma oggi l’80% dell’Amazzonia brasiliana si sta riversando nelle città: masse di persone in cerca di uno spazio, di una vita dignitosa… un campo tutto nuovo per l’evangelizzazione». Tante donne e uomini da «invitare al banchetto – come recita il messaggio del Papa – con vicinanza, compassione e tenerezza, che riflettono il modo di essere e di agire di Dio».