Anni fa, quando partii per la missione, in tanti si presero cura di me: oggi anch’io sto accanto ai giovani che cercano la loro via nel mondo. La testimonianza di un collaboratore dell’Ufficio Educazione Mondialità del Centro Pime di Milano
Ormai da qualche anno, come collaboratore dell’Ufficio Educazione Mondialità, sono chiamato a stare in mezzo ai giovani, ai loro desideri e inquietudini, al loro essere in ricerca del proprio modo di stare nel mondo. Li incontro al Centro pastorale dell’Università Cattolica, dove insieme ai colleghi cerchiamo di conoscerli e proponiamo loro esperienze di servizio e missione, sia sul territorio sia in quei luoghi lontani in cui missionari e missionarie spendono la loro vita. È il caso del progetto Mission Exposure (Mex): incontri formativi durante l’anno, seguiti da un mese in missione in estate.
Accompagnare gli studenti e le studentesse è il compito arduo e nobile a cui siamo chiamati, cercando di aver cura della storia e del percorso di ciascuno di loro. Penso a quasi dieci anni fa, quando anche io ero mosso da un misto di curiosità, paure, voglia di uscire da me stesso e andare a toccare con mano confini che avevo solamente immaginato. Confini dentro e fuori di me. Anche io sono stato accompagnato, sia prima sia durante la missione. I membri dell’équipe del percorso formativo provavano a farmi capire che, ancor prima di loro, qualcuno più in alto mi stava accanto nel mio cammino: quel Dio che spesso io faticavo a sentire, a vedere, a percepire presente come ne avevo bisogno.
Mi fu affidata la meta della Guinea-Bissau. Pensavo di essere pronto, ma non lo ero del tutto. Giorni passati in luoghi sperduti, in una natura imponente, assieme a una comunità povera materialmente ma ricca di umanità, senso dell’accoglienza, con una forza d’animo che mai avevo visto prima. Una missione del Pime dove padre Giuseppe Fumagalli, detto “padre Zé” ci accolse con semplicità, accompagnandoci nella sua vita tra animazione dei bambini, catechesi tra i villaggi e impegni quotidiani. Anche i miei compagni di viaggio sono stati accanto al mio vivere, tra sorrisi e lacrime, e per questo ancora li ringrazio dentro di me. Più di tutti poi mi colpì un bambino: lui piccolo, 8 anni, io grande, ma era lui che aveva cura di me, mi prendeva per mano mentre badava ai fratellini e aiutava nei lavori del giorno. Ho sentito attraverso di lui una presenza diversa: lui accompagnava me.
La missione ancora oggi mi ricorda con limpida franchezza tutti i miei limiti e insicurezze, ma anche ciò che nella mia vita ha valore e che provo a custodire come marito, papà, amico, cittadino. Un’esperienza che interroga ancora il mio rapporto di fede.
Ora i giovani partiti quest’estate sono tornati: nuovi volti, luoghi e domande abitano forse i loro cuori. Insieme all’équipe, proverò a stargli accanto, nella consapevolezza che io per primo sono stato e sono ancora accompagnato da qualcuno, e per questo posso provare ad accompagnare qualcun altro.