Trevigiano, 82 anni, si è spento in ospedale a Tokyo dopo alcuni mesi di malattia. Della sua missione in un Paese dalla cultura apparentemente così lontana diceva: «Il Cielo è la voce di Dio. Che anche i giapponesi possono vedere e sentire».
La comunità dei missionari del Pime piange in queste ore la morte di padre Mario Bianchin, missionario dell’istituto, scomparso a Tokyo all’età di 82 anni di cui quasi 50 trascorsi svolgendo il suo ministero in Giappone, dove è stato anche per un periodo superiore regionale del Pime.
Su questo sito avevamo parlato di lui qualche mese fa, condividendo la gioia per la Croce pro Ecclesia et Pontifice a lui consegnata dal nunzio apostolico mons. Leo Boccardi il 14 febbraio scorso, in una cerimonia tenutasi nella parrocchia di Yurigaoka, nella diocesi di Yokohama, dove per anni ha svolto il suo ministero. Purtroppo appena un mese dopo padre Bianchin era stato ricoverato presso l’ospedale cattolico di Kawasaki e poi trasferito presso l’Ospedale Cattolico delle Suore di San Giovanni Evangelista di Tokyo, dove è morto. «Padre Mario è morto sereno – ha scritto ai confratelli padre Andrea Lembo, l’attuale superiore regionale -. Io sono andato quasi ogni giorno a trovarlo, per parlare e pregare assieme. Ogni domenica celebravo la S. Messa con lui nella sua camera».
Nato a Fontane di Villorba (Tv) il 18 aprile 1941, entrato nel Pime come seminarista nel 1952, aveva compiuto gli studi di teologia negli Stati Uniti. Orinato sacerdote nel 1965, in Giappone era arrivato nel 1972, dopo un periodo di servizio nell’animazione missionaria negli Stati Uniti durante il quale aveva conseguito anche una laurea sui media alla Loyola University di Los Angeles. Dal 1972 – salvo una breve parentesi in Italia per un servizio nella Casa dei missionari anziani a Rancio di Lecco – ha svolto ininterrottamente il suo ministero in Giappone.
La sua vocazione e l’esperienza dei tanti anni di apostolato in Giappone li aveva ripercorsi qualche anno fa in una bella intervista ad AsiaNews. Raccontando il suo desiderio di essere destinato proprio in questa terra: «Ai miei tempi – ricordava – di solito si andava in missione nei cosiddetti Paesi sottosviluppati. Il Giappone era di certo un Paese sviluppato eppure non era cristiano. Mi dicevo: perché sono tanto istruiti e non sono cristiani? Questo per me rappresentava un profondo interrogativo. Una questione irrisolta».
«Sono arrivato in Giappone nel 1972 – continuava – non parlavo il giapponese. Dopo una settimana incontrai un uomo che parlava un po’ di inglese imparato in Siberia, dov’era stato prigioniero di guerra. Una normale conversazione. Mi chiese cos’ero venuto a fare lì. Quando glielo spiegai, mi obiettò: “Deve sapere che noi una religione già ce l’abbiamo. Pensavo fosse venuto ad insegnare l’inglese”. Il contraccolpo fu pesante».
La risposta di padre Bianchin fu mettere “in discussione tutti gli schemi che mi ero prefissato”. “Ho scelto di indicare il Cielo – raccontava -. O la voce di Dio (“Io sono la voce”, dice Giovanni Battista). Il riferimento costante dei giapponesi è la natura, l’ineluttabilità della natura, il rinnovarsi, il risorgere. La loro percezione non è mai astratta o intellettuale, ma fenomenologica”.
«La fede cristiana non è una cultura – concludeva -. Fa cultura, ma non lo è. È il Cielo. È la voce di Dio. Che anche i giapponesi possono vedere e sentire».
I funerali di padre Bianchin si terranno il 18 agosto agosto nella cattedrale di Yokohama.