I nuovi missionari del Pime di quest’anno – che saranno ordinati in parte sabato 12 in Duomo a Milano e in parte nelle proprie diocesi – vengono tutti da Africa, Sudamerica e Asia: due, originari del Myanmar, sono destinati alla Cina. Ci raccontano le loro storie, in attesa di partire
L’apertura del Pime all’internazionalità dei suoi membri, che da anni permette a giovani di tutto il mondo di entrare nell’Istituto, quest’anno si manifesta pienamente nei suoi nuovi sacerdoti: tra loro non c’è nessun italiano; sono cresciuti tutti in famiglie che in missione hanno trasmesso loro la fede. Sono così l’emblema dell’evangelizzazione: andare a raccontare la Buona Novella dove nessuno l’ha mai fatto, per far sì che anche da quei luoghi essa faccia fiorire l’annuncio.
I sette nuovi preti del Pime vengono da Costa d’Avorio, Myanmar, Bangladesh, India e Brasile. I birmani, il brasiliano e uno dei due indiani verranno ordinati il 12 giugno a Milano; Jean-Jacques, l’ivoriano, il 26 in Costa d’Avorio; gli altri nel corso dell’estate nelle loro diocesi d’origine. Le loro destinazioni non sono affatto facili: tra importanti responsabilità e missioni appena nate, dovranno affrontare grandi sfide già dai primissimi giorni.
Il caso più emblematico è sicuramente quello di Ba Oo e di San Li, entrambi originari del Myanmar ed entrambi destinati a Taiwan per lo studio del mandarino, prima di poter andare in Cina. Un contesto delicatissimo e “caldo”, così come lo è oggi quello del loro Paese. «Dopo il colpo di Stato in Myanmar, la situazione è grave. Né i manifestanti né i militari si arrenderanno mai, quindi è difficile capire come andranno le cose. Stiamo vivendo questo periodo con tanta rabbia per queste ingiustizie e con tanta preoccupazione per il nostro Paese e per il suo futuro. Noi due siamo fortunati, anche perché dall’Italia è più semplice ottenere i visti per Taiwan, ma non potremo di certo tornare a casa per vedere le nostre famiglie. Tante delle cose che volevamo fare abbiamo dovuto sospenderle per via di questa situazione. Né abbiamo la certezza di come andrà la nostra missione a Taiwan e poi a Hong Kong e in Cina».
Ba Oo, trentunenne, viene dal Myanmar orientale, zona in cui il Pime è presente da fine Ottocento. «Conoscevo quei sacerdoti solo come “i missionari” e non ci avevo mai parlato. Avevo già scelto di diventare prete e avevo frequentato per otto anni il seminario diocesano quando li ho incontrati di nuovo, dato che tenevano i corsi di spiritualità».
A quei corsi Ba Oo ha incontrato anche San Li, suo coetaneo, a sua volta entrato in seminario giovanissimo, ma proveniente dal Nord del Myanmar. «Parlando con i missionari del Pime faccia a faccia ho iniziato una riflessione e ho ricordato i segni di tutto quello che avevano fatto nella mia terra; allora ho iniziato a voler essere come loro» racconta Ba Oo. «Con San Li abbiamo fatto un anno di esperienza missionaria in Cambogia insieme, e il nostro desiderio si è fatto più forte quando abbiamo visto come il Pime lavora». Entrambi verranno ordinati il 12 giugno a Milano prima di partire per Taiwan.
Anche Santhosh e Bhaskar, indiani, sono coetanei e hanno fatto un pezzo di strada insieme. Bhaskar è dello Stato del Telangana, dove il Pime lavora da anni: «I miei genitori e i miei nonni mi raccontavano dei missionari» spiega. «Li chiamavano i “preti bianchi” e ne ho sempre avuto un’immagine molto positiva. Quando ho scelto di entrare in seminario ero già deciso a diventare come loro, e sono andato a un campo vocazionale organizzato dal Pime». È qui che incontra Santhosh, proveniente invece dall’Andhra Pradesh. Racconta Santhosh: «Quando sono andato dal mio parroco per dirgli che volevo diventare sacerdote lui mi ha risposto che non si poteva fare perché il seminario diocesano aveva chiuso. Per fortuna ho trovato quel campo vocazionale a Eluru. Degli oltre cento candidati presenti siamo stati scelti solo Bhaskar e io». I due hanno quindi iniziato il loro percorso nell’Istituto. Ora Bhaskar tornerà in India, dove sarà il vicerettore del Seminario minore di Eluru: «È una grande responsabilità perché sarò il primo vicerettore missionario. È una scelta fatta per dare ai seminaristi una formazione più orientata all’annuncio già dai primi anni». Santhosh invece sarà il primo padre del Pime indiano ad andare nella missione in Ciad. Prima di partire lo aspetta almeno un anno di studio del francese, che passerà insieme al suo compagno Eder.
Nato e cresciuto a stretto contatto con i missionari italiani a Sertanópolis, nel Sud del Brasile, Eder credeva che tutti i preti fossero missionari. Dopo una prima esperienza in seminario, decide di lasciarlo e comincia una vita come quella di tutti i diciannovenni: università, lavoro, un gruppo musicale. Ma dopo dieci anni la vocazione è tornata a farsi sentire, stavolta per sempre. Dopo l’anno di studio del francese, Eder andrà sul campo, in Costa d’Avorio.
Lo stesso accadrà a Dominic, destinato però al Giappone. Originario di Khulna, in Bangladesh, ha conosciuto il Pime in parrocchia. «Mentre studiavo a Dhaka mi tenevo in contatto con padre Franco Cagnasso, che alla fine mi ha proposto un’esperienza comunitaria in parrocchia», racconta. «Durante le vacanze andavo nel Nord del Paese per vedere come lavora il Pime e alla fine ho deciso di entrare nell’Istituto». Anche per lui gli anni di studio non sono finiti: ce ne vorranno almeno due per imparare il giapponese a Tokyo, ma potrà iniziare già a fare il missionario.
Non è così per Jean-Jacques, ivoriano, destinato a essere il vicerettore del Seminario di Yaoundé in Camerun. Ha conosciuto il Pime da bambino: «Il modo di fare dei missionari era molto diverso da quello degli altri sacerdoti, perciò quando ho iniziato il mio percorso di discernimento ho chiesto di incontrare di nuovo il Pime», racconta. «Ho continuato a guardarlo da vicino mentre studiavo, ho fatto anche un’esperienza pastorale nel Nord del Paese. Alla fine ho scelto di continuare gli studi al Seminario dell’Istituto di Yaoundé, dove tornerò da vicerettore. Sinceramente, speravo di andare sul campo, ma accolgo questo servizio con tanto senso di responsabilità, perché so quanto è importante. La formazione per diventare missionari è difficile, soprattutto quando devi studiare in una lingua che non è la tua. Il supporto di chi ci ha accompagnato e guidato è stato fondamentale e vorrei davvero ringraziare tutti, dai professori che ci hanno sostenuto a chi ha pregato per noi da lontano».