Il Pime e la comunità di Cernusco sul Naviglio hanno pianto in queste ore la morte improvvisa di padre Luciano Ghezzi. Così lo ricordano i suoi confratelli nelle Filippine, che furono la sua prima missione dove dovette subire ingiustamente anche il carcere prima dell’esperienza in Messico tra i mixtechi
Nella notte del 5 agosto all’ospedale della sua Cerbusco sul Naviglio (Mi) è morto per un malore improvviso che l’aveva colpito da qualche giorno padre Luciano Ghezzi (1946-2020), missionario del Pime che ha svolto il suo ministero nelle Filippine e in Messico, dove insieme a padre Graziano Rota nei primi anni Duemila fu l’iniziatore della presenza missionaria tra i mixtechi, nello Stato del Guerrero. Ma la vocazione dell’apripista padre Luciano l’aveva già vissuta nei primi e difficilissimi anni della sua missione nelle Filippine, come ricordano i suoi confratelli nell’arcipelago in questo ricordo pubblicato sul loro blog pimephillines.
Padre Luciano arrivò nelle Filippine nel 1978. Assegnato prima ad Ayala, Zamboanga City si trasferisce poi nell’Arakan Valley nel 1980 dove si accampa con padre Sandro Bauducci, a GreenFields in una casa di una leader della nuova parrocchia o missione. Nuova nel vero senso della parola perché non c’era ancora un nucleo abitativo, eccetto qualche capanna di poveri contadini, né corrente elettrica o acqua potabile, ma con una cinquantina di cappelle, o Comunità di Base, da visitare sulle montagne a piedi e a cavallo, su pendii scoscesi che franavano giù verso i fiumi a valle. Rimase celebre il suo modo di attraversare i fiumi in piena: mettendo, zaino e oggetti religiosi avvolti da cellophane sulla testa.
Qualche anno dopo con l’arrivo di padre Bruno Vanin si trasferisce definitivamente nella casa di un leader della missione, il signor Lastica, che abitava a Doroluman, un grosso centro della missione distante cinque chilometri da Greenfields, condividendo per anni la vita di quella famiglia, dormendo sul pavimento di assi e curando il territorio nord-est della missione. Una famiglia che negli anni, anche quando lascerà definitivamente le Filippine per il Messico, lo ricorderà sempre con molto affetto. Dalla parlata in dialetto locale molto fluente, i più anziani in Arakan lo ricordano mentre predicava in mezzo alla chiesa, come alto, con pochi capelli e la barba rassomigliante a quella di Sean Connery.
Dopo l’uccisione di padre Tullio Favali prese il suo posto a Tulunan, a circa 120 chilometri più a sud dall’Aarakan. In quegli anni dovette affrontare, assieme a padre Peter Geremia, don Colago, un prete di Tulunan, e due suore domenicane della scuola cattolica di quella municipalità, un processo con l’accusa di rapimento di minorenne. Un processo più che altro mediatico e diffamatorio verso l’atteggiamento critico della chiesa della diocesi verso la presenza opprimente dei militari. Il processo si concluse con la piena assoluzione. Dopo questo spiacevole evento, padre Luciano rientrò in Italia per un servizio al Pime e poi si trasferirà negli Stati Uniti con l’obiettivo di iniziare una nuova missione in Messico.
Insieme a padre Graziano Rota di Bergamo aprirà poi la missione di Cuanaxatitlàn tra i mixtechi nello stato del Guerrero in Messico. Negli ultimi anni era rientrato in Italia a Sotto il Monte, ma restava attivo tra i giovani nella sua parrocchia di Cernusco (ottobre missionario). Alla fine gennaio aveva sofferto la perdita di Renata, la sorella più giovane della sua famiglia composta da atri due fratelli e altrettante sorelle. “Commovente era stata la sua omelia celebrata nella chiesa di San Giuseppe (Cernusco) una delle ultime pronunciate in città anche a causa della successiva emergenza sanitaria” (lamartesana).