Elezioni
12 gennaio, elezioni comunali, le Autorità hanno ordinato la chiusura delle attività – fabbriche, negozi, uffici, scuole. Vado a piedi verso il centro di Dinajpur, nel primo pomeriggio. A destra e sinistra della larga strada migliaia di cartelli elettorali tutti uguali, quattro o cinque file di festoni appesi a cordicelle tese da un palo elettrico all’altro. La legge impone stesso formato per tutti: pressapoco come una pagina di tabloid. Tutti in bianco nero, con la foto del candidato, il nome, il simbolo prescelto. Vedo un cervo, un vaso da fiori, una mela, un ananas, un televisore, un battello, un pallone da football, un pestello, un calamaio, una bicicletta, una pompa da pozzo, un secchio… Quasi due muri di fogli sventolanti. Circolano solo pochi autobus interurbani e i riksciò. I candidati hanno offerto ai loro sostenutori un pacchetto con il pranzo in cambio della loro presenza in strada: lungo tutto il percorso centinaia di persone, per lo più giovani ma anche adulti, donne, bambini indugiano, commentano, passeggiano ostentando appesa al collo la foto del loro candidato, si assembrano davanti ai seggi elettorali per commentare, applaudire, semplicemente chiacchierare. Pochissime forze dell’ordine. Poche discussioni, l’aria è pacifica, festiva – disturbata solo dal gran freddo che fa soffrire tutti ma non scoraggia del partecipare. Vincerà il candidato “ananas”.
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