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Oggi

8 marzo 2014, mi trovo a Rajshahi – sulla riva sinistra del Gange. Celebro alla Messa nella chiesetta del CAM (Centro Assistenza Malati) davanti alle ragazze di due ostelli, parecchie suore, alcuni dipendenti. Nonostante i buoni propositi serali, dimentico di fare gli auguri alle donne presenti – e sono la maggioranza. Che figura… Omelia breve breve, ma non si può omettere: che non pensino che sono da meno del Papa! Colazione, poi giro con le infermiere nelle due sezioni del CAM. Alla sezione TB ci sono oggi 29 ammalati, quasi tutti con TB ghiandolare. Un’ammalata – arrivata ieri, è in fase contagiosa e va accompagnata all’Ospedale, insieme ad altri 12 già ricoverati, mentre uno sta all’ospedale generale; anche loro vengono seguiti dal personale del CAM. Segue breve preghiera, poi i malati della sezione generale – 29 pure loro, oltre a 9 in ospedale – salgono a gruppetti sul microbus che fa la spola per portarli chi ad una visita, chi ad un esame, chi all’ammissione. Torneranno verso le 13. Le sale da pranzo sono i davanzali delle verande, con piatti e bicchieri disposti in bell’ordine lungo la balaustra, così si mangia con lo sguardo sul giardino fiorito. Poi ognuno lava le sue stoviglie e prepara per la merenda e la cena. Le posate non occorrono. Nelle sezioni femminili ci sono alcuni bimbi piccoli, con le loro mamme o sorelle o zie. In giornata alcuni ammalati tornano a casa, altri arrivano, mandati dalle varie missioni: cristiani, indù, musulmani, bengalesi, aborigeni… chi ha già una diagnosi, ma deve controllare, oppure ha una chemioterapia; chi non ha ancora visto un medico. Accoglienza; domani tocca a loro salire sul microbus e andare dove le infermiere ritengono opportuno per la loro condizione. Un mondo di sofferenza sereno, molto discreto, che cerca di non farsi notare. Posso chiedere a chiunque “come va?” e sono sicuro che subito dice “bene”. Poi magari aggiunge: “Ho un fortissimo dolore, sto male, ho la febbre, sono in cura da mesi senza risultati…” Verso le 11 faccio quattro passi e arrivo a Snehanir, la Casa della Tenerezza. Venticinque ragazzi e ragazze dai 5 ai 20 anni, per lo più con disabilità fisiche, tre mentali, altri “normodotati”. Una comunità “mista” per vari aspetti, in cui vado sempre molto volentieri: serena, vivace, dove la condivisione fa norma, guidata da suor Dipika con l’aiuto di suor Carolina, anche lei con handicap, la sordità. Passo qualche ora a fare conti per mandare a Milano il resoconto del 2013: si va avanti, infatti, grazie al “Sostegno a Distanza” (o “adozioni a distanza”) di molti amici italiani. Poi mi avventuro nel tentativo di far scrivere a ciascuno una frase in italiano, da mandare al rispettivo o rispettivi donatori. Impresa ciclopica che i ragazzi affrontano con allegria. Faccio quattro chiacchiere con i nuovi arrivati, il simpaticissimo Anup, la nuova mascotte di cinque anni che cammina solo con il girello. Ha ancora bisogno che la mamma stia con noi per aiutarlo, ma rapidamente impara a mangiare da solo e a cavarsela in molti modi, stimolato dall’esempio degli altri. Emily, 14 anni, caduta nel fuoco da bambina, è guarita ma la pelle pian piano si è formata saldando il braccio destro al torace. Speriamo in ottobre di farla operare e “liberare”. Intanto, impara a danzare con le altre ragazze, ed è felice. Le danze arrivano infatti verso le 18.30, in onore dell’amica Virginia, che viene ogni anno da Senna Lodigiana per portare e ricevere affetto. La chiamano “Lal Pisci” “zia rossa”, per via dell’abito che indossava al primo incontro con loro; questa sera veste di blu, ma il nome rimane. Le ragazze più grandi stanno proprio imparando bene, si fanno carine, si divertono un mondo; ma le piccoline non sono da meno. Tutti hanno la loro parte di spettacolo. Mira – spastica – fa un “a solo” di danza veramente inedito, e spontaneamente le si affianca Susmita, down, staccandosi dalle braccia di Virginia. Martin, che vive in una barella con le rotelle e fa il contabile al SAC, suona con gusto la tobla (tamburelli)… Ritorno al CAM dopo le 21, stanco morto, per mettere in ordine le idee per l’omelia di domani, domenica. E per dire grazie.

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