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P. Carlo

Era il periodo caldo della contestazione ecclesiale, anni ’70. In uno dei suoi scritti su Binimoe, bollettino del PIME in Bangladesh, scrisse: “E’ vero che Gesù ha detto di amare i propri nemici, ma non ha mai detto di odiare i propri amici…”. La battuta m’è rimasta impressa, rivelatrice dello stile di P. Carlo Calanchi, missionario milanese che il 12 marzo scorso ci ha lasciati dopo 56 anni di missione, di cui gli ultimi 37 vissuti fra seminario minore, Casa Madre e Noviziato delle Suore locali di Shanti Rani, Episcopio. Avrebbe compiuto 85 anni nel prossimo giugno, se ne è andato con grande serenità e consapevolezza, benedicendo e pregando. Era l’uomo della fedeltà e della costanza tenace nel suo lavoro, nella comunicazione con “parenti, amici e benefattori”, nella preghiera. Dopo un primo periodo di vita in varie missioni, soprattutto fra i Santal, fu coinvolto nella ricerca di rinnovamento postconciliare dell’Istituto e della Chiesa, aiutando la preparazione del nostro “Capitolo di aggiornamento”, e partecipandovi nel 1971. I cambiamenti in corso lo facevano riflettere, a volte lo attiravano, ma non ne ha sposato la causa, perché temeva le “mode” o la superficialità. Riproponeva insistentemente la tradizione, non come opposta alla novità, ma cercando in essa gli elementi validi, che devono rimanere e nutrire il cammino spirituale. Proprio per rinnovare, p. Carlo, ha “inventato” e diffuso in Bangladesh la pratica dei “Servizi della Parola” per i villaggi dove non si può celebrare regolarmente la Messa. Preparava pazientemente tutti i commenti dei vangeli domenicali e i testi relativi in lingua santal, che diffondeva fra i catechisti in copie moltiplicate con un ciclostile ad alcool; ha introdotto al santal diversi gruppi di missionari, ha preparato o tradotto tantissimi sussidi di catechesi, spiritualità, preghiera. Amava moltissimo il PIME, e lo dimostrava anche con gli articoli che scriveva, che lo hanno fatto conoscere nelle altre circoscrizioni d’Istituto. Leggeva dalla prima all’ultima riga tutte le nostre pubblicazioni, quasi sempre in cappella, come una lettura spirituale che lo appassionava e lo spingeva a intervenire per incoraggiare il bene e per analizzare in modo critico ciò che lo preoccupava. Scrisse perciò sul celibato e la castità, ricordando i principi semplici e chiari che aveva lui stesso praticato trovandoli utili o necessari; sulla meditazione, sulla devozione ai santi, la confessione, i metodi missionari, l’amore al Papa e alla Chiesa – anche con i suoi difetti… Era arguto, a volte pungente e ironico. Perciò alcuni che non lo conoscevano si fecero di lui l’immagine di un uomo saccente, aggressivo – ma era proprio il contrario: mite, quasi timido, sempre in ricerca! Ha trascorso migliaia di ore a confessare o aspettare i penitenti, più ancora nella direzione spirituale. Ci ha lasciato un baule intero di lettere ricevute e scritte, testimonianza della sua tenacia anche nel ministero della corrispondenza.

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