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Sultana

Lavorava in una fabbrica di abiti, l’hanno dimessa perché troppo piccola di statura e leggera di peso. Dai e dai, con qualche aiuto ha messo insieme il necessario per una dote più o meno della sua taglia, ma sufficiente a farle sposare un giovane di cui si diceva bene. “Sei contenta?” “Mamma e papà l’hanno scelto; l’ho visto una volta, mi sembrava bravo. Allah sa…” Viene accolta bene dalla famiglia, sono contadini, c’è spazio e lavoro per tutti, suocera, cognate, nipoti sono  molto gentili. La dote viene usata per far pulire uno dei numerosi pukur (stagni artificiali), metterci del buon pesce, comprare altro mangime. Dopo una quindicina di giorni, finito il lavoro, finisce anche la dote, e la musica cambia. “Ma che razza di moglie è? Non lavora, mangia soltanto!” “Mia cognata è cretina, non sa mungere le mucche”. “Che schifezza di riso hai preparato?” Il tutto condito con robuste bastonate. Tira avanti un mese, finché le rompono un dito e torna a Dhaka dai suoi. Il progetto: “Una moglie per rinnovare il pukur” sembra essere andato perfettamente in porto senonché… nel mese e mezzo di convivenza il giovanotto s’è innamorato della piccola Sultana, pianta lì i suoi e viene pure lui a Dhaka. Passerotti soli soli sperduti nella marea della città.

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