Un nome
Da qualche mese P. Luca lavora con entusiasmo e intelligenza nel Centro che sta nascendo vicino all’EPZ, la grande zona franca industriale a ovest di Dhaka. L’iniziativa risale a qualche anno fa, quando p. Gian Paolo, parroco di Mirpur, e fr. Massimo, direttore della Novara Technical School di Dinajpur, hanno iniziato a collaborare per assistere gli ex studenti della scuola tecnica che migrano a Dhaka per trovare lavoro. Più si agiva e più cresceva la voglia di fare qualcosa di meglio. Comprato con molta fatica un terreno, è sorta la prima struttura che accoglie giovani lavoratori in cerca di sistemazione. Ora, con p. Luca presente a tempo pieno, l’iniziativa prende consistenza, punto di riferimento non solo per ex alunni, ma per tantissimi giovani, uomini e donne di vari gruppi etnici e religioni, che faticano e si disumanizzano nell’immensa zona industriale.
Il Centro ha bisogno di un’identità con cui presentarsi, un nome. Betania, Emmaus, Nazareth…? P. Luca ha chiesto un parere, manifestando simpatia per nomi biblici, che evocano l’identità cristiana del Centro, senza rischiare di farlo apparire come realtà chiusa, riservata ai fedeli di una Chiesa. Qualcosa di non confessionale, come “Oasi dei lavoratori”? Troppo vago forse. Oppure… “Centro Gesù lavoratore”? Bello, e nuovo qui in Bangladesh. Dice quello che vogliano, cioè dare dignità ai lavoratori a partire dalla dignità che il Figlio dell’Uomo ha rivelato facendosi Lui stesso lavoratore. Non spaventa gli operai un “guru” che era operaio, come loro.
Paolo scrive che la Chiesa del Bangladesh, per uscire dalle sue chiusure ed essere comunità di servizio, deve identificarsi chiaramente come comunità cristiana che serve. Nel suo quartiere popolare, i parrocchiani avevano paura di fare la prima processione del Corpus Domini fuori del recinto, per strada: ci disturberanno, attireremo ostilità… Nessuno ha disturbato, molti hanno scoperto che esistono cristiani nella zona, ogni settimana si presenta qualcuno per sapere meglio di che si tratta. Luca vuole evitare ogni rischio che il nome crei malintesi, e chiuda una strada. Francesco ritiene che qualificarsi con chiarezza sia proprio un’esigenza del dialogo, e che il nome di Gesù in se stesso non susciti ostilità , sospetti o paura.
Il nome non è stato ancora deciso. Intorno a questa scelta si esprime la concretezza della ricerca di tutti noi su come essere missionari che uniscono annuncio, dialogo, servizio. Fermo restando – ricorda Francesco – che, ancor più del nome, parla il modo in cui noi ci collochiamo fra la gente nella vita quotidiana, a chi diamo attenzione, quali rapporti cerchiamo.
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