Nella casa del Pime Villa Grugana (Lecco) è partita la Settimana della mondialità: sette giorni durante i quali coetanei da tutto il mondo fra i 15 e i 20 anni provano a vivere insieme. Per ricucire ferite, superare barriere e abbattere pregiudizi.
«Tu vedi che in una settimana a quello gli cambio il DNA». Giuliana Rapacioli, responsabile della Settimana della Mondialità, non ha peli sulla lingua e agisce senza mezze misure. Soprattutto quando si tratta di trasformare gli adolescenti e i giovani che arrivano alla Week of the World, molti dei quali senza aver ben chiaro in mente quello che li aspetta. A Villa Grugana, mercoledì 19 luglio si è aperta la Settimana della Mondialità: sette giorni di attività per ragazzi e ragazze dai 15 ai 20 anni, che arrivano da ogni parte del mondo. Sanno che incontreranno coetanei di altre culture, che scambieranno qualcosa con loro, ma non possono immaginare quanto questi incontri trasformeranno il loro modo di vedere le cose.
«Quasi dieci anni fa mia figlia, allora diciassettenne, mi ha chiesto di aiutare lei e alcuni suoi amici a fondare un’associazione che facesse qualcosa per i ragazzi» racconta Giuliana, che coordina le attività e la piccola équipe di animatori ed educatori. «Abbiamo aperto “A Gonfie Vele” e l’estate seguente abbiamo organizzato la prima Settimana della Mondialità. Da allora non ci siamo più fermati. Inizialmente il Pime ci ha dato una mano a organizzare e un supporto educativo. Tra diocesi e parrocchie, era l’unica istituzione che poteva capire davvero quello che volevamo fare e come volevamo farlo. Ma oramai “A Gonfie Vele” è autonoma, anche se la presenza del Pime è rimasta sia nell’organizzazione, sia attraverso i padri e il supporto dell’animazione missionaria».
La mattina degli arrivi, Villa Grugana è un viavai di ragazzi e ragazze che scendono a gruppetti da pulmini e auto. I più timidi si guardano attorno intimoriti, i più estroversi iniziano subito a chiacchierare con gli animatori e gli altri partecipanti. Si sente parlare inglese, francese, arabo, ebraico, moldavo… Man mano che passano le ore i gruppi si mischiano e le lingue iniziano a ridursi a quelle che capiscono tutti. Nell’aria si sente profumo di aspettative e di curiosità.
«Siamo venuti qui per allargare lo spirito. E anche per vedere l’Italia» racconta Onjas, proveniente dallo Zimbawe, studente in Algeria. È arrivato con alcuni amici cristiani al seguito di padre Piero Masolo, missionario del Pime ad Algeri. «Non vedo l’ora di scoprire cosa faremo e credo proprio che sarà bello». Quando gli chiediamo cosa si aspetta da questa settimana risponde: «Una pienezza spirituale e sociale. Faremo molti incontri e scopriremo come vivono gli altri, come vedono il mondo. Troveremo nuovi modi di interagire con le persone».
«Quando sono arrivato in Algeria ho capito che non sapevo niente del mondo» dice Mika, proveniente dal Madagascar «Era perché non ero mai uscito da casa mia. Quando sono arrivato qui ho sentito di nuovo la stessa sensazione, soprattutto quando ho conosciuto il gruppo dei palestinesi. Sono abituato agli arabi algerini e mi aspettavo avessero la stessa mentalità. Invece i mediorientali sono tutta un’altra cosa. Credo che sia un ottimo inizio…». Jacob, anche lui arrivato dall’Algeria, ma nato in Tanzania, è d’accordo col suo amico: «Quest’esperienza ci darà una migliore comprensione del mondo. Non conosci davvero nessuno fino a quando non ci entri in contatto diretto. La Settimana della Mondialità è una grande opportunità. La nostra domanda è: “È possibile vivere insieme anche se siamo diversi?” Qui spero di trovare una risposta».
Mentre parliamo con il gruppo dall’Algeria i ragazzi continuano ad arrivare. Salta fuori un pallone da calcio e subito sul prato di Villa Grugana comincia una partita Italia-Medio Oriente. In campo ci sono tre o quattro etnie diverse, come minimo. Alla fine della sfida (parità, per non fare torto a nessuno) intercettiamo due ragazze italiane che si sono subito gettate nella mischia.
«In questa settimana vorrei prima di tutto imparare a giocare a calcio» dice Cecilia, 15 anni, di Pavia «In oratorio non sono mai riuscita a buttarmi così facilmente. Sono venuta qui soprattutto per diventare più sicura di me, per crescere. E per stringere legami e amicizie con dei coetanei da tutto il mondo. È difficile trovare opportunità del genere per quelli della mia età». «Quando ho detto ai miei amici che partecipavo alla Settimana della Mondialità alcuni hanno detto “Che fico!”, altri erano titubanti» racconta Maria Chiara, quindicenne milanese. «Mi hanno detto che sono stata coraggiosa a venire qui. In effetti è un’esperienza impegnativa: c’è un programma complesso, c’è la difficoltà delle lingue, delle culture straniere, dell’integrarsi con gli altri gruppi… Con queste cose non sai mai come va. Ma credo che stia a ciascuno far sì che la settimana finisca bene o male. Bisogna mettersi in gioco, e alla fine si impara a uscire da se stessi e a non fermarsi all’apparenza».
Chiediamo a Cecilia e Maria Chiara cosa pensano che porteranno a casa alla fine della Settimana della Mondialità. «Porteremo quello che avremo vissuto. Ogni persona che incontri ti lascia qualcosa, da dovunque provenga. Torneremo con la voglia di rivedere chi abbiamo conosciuto qui e di conoscere altre persone, ancora diverse. Entrare in contatto con qualcuno lontano da te per cultura e mentalità significa imparare a capirlo, almeno in parte. Capire i suoi bisogni, i suoi desideri personali, quello che gli piace e quello che gli dà fastidio. Tutto questo aiuta a differenziare quello che si vede in televisione e sui social network da quella che è la realtà. Smetti di generalizzare e, quando lo fai, i pregiudizi crollano».