L’accaparramento delle terre nei Paesi poveri da parte di investitori esteri continua, anzi si espande in nuove forme. Un nuovo rapporto dell’organizzazione Grain documenta 500 casi in tutto il mondo e punta il dito contro i fondi pensione.
Il land grabbing è tutt’altro che un problema superato. Piuttosto si sta diffondendo in molti modi, si sta espandendo verso nuove frontiere e sta intensificando i conflitti in diverse aree del mondo. È la conclusione cui giunge il nuovo rapporto sul land grabbing di “Grain” organizzazione non governativa che monitora il fenomeno dell’accaparramento delle terre nel mondo (in particolare nei Paesi più poveri) da parte di investitori esteri sia pubblici che privati (per esempio altri governi o aziende).
A otto ani dal primo report, che nel 2008 portò all’attenzione di tutto il mondo il fenomeno del land grabbing, oggi Grain pubblica un nuovo database che documenta circa 500 casi di appropriazione delle terre in tutto il mondo, attraverso contratti di affitto che ignorano i diritti delle popolazioni locali. Dopo il report che nel 2008 fece scalpore, Grain ha continuato a monitorare e registrare i nuovi contratti sui terreni attraverso la piattaforma web farmlandgrab.org. e ha raccolto documenti che provano l’esistenza di 491 contratti per un totale di 30 milioni di ettari di terra in 78 Paesi. Ciò significa che il numero di contratti di land grabbing è aumentato progressivamente negli anni, sebbene con un rallentamento a partire dal 2012.
Alcuni dei mega-progetti di affitto su larga scala sono falliti, facendo abbassare il numero di ettari di terra “accaparrati”. Nel 2009 la rivolta popolare contro il progetto della Daewoo in Madagascar ha fatto fare marcia indietro al governo del Paese africano, che ha sospeso il contratto con la multinazionale coreana. Nel 2011 l’assassinio del leader libico Mouamar Gaddafi ha significato la fine di un progetto di acquisizione di 100 mila ettari di terra da parte del regime libico in Mali. Altri progetti su larga scala sono venuti meno: in Camerun, per esempio, dopo molte proteste il progetto di Herakles, una società che affitta terre per la produzione di olio di palma, è passato da 73mila a 19mila ettari. In Brasile e in Argentina a fronte delle proteste, alcune compagnie cinesi hanno deciso di fare a meno dei contratti di affitto della terra assicurandosi la produzione locale di prodotti agricoli da parte di contadini locali piuttosto che affittare direttamente la terra. Questi contratti sono stati definiti come “investimenti responsabili”, dice Grain, ma si tratta di “land grabbing mascherato”.
Nonostante questi fallimenti, il land grabbing continua ad espandersi in nuove forme e con altri attori.
Il rapporto di Grain sottolinea in particolare l’incremento degli investimenti da parte dei fondi-pensione. Nel 2008 solo una manciata di fondi-pensione stava investendo sull’acquisizione di terre. A partire dal 2012 il loro numero ha cominciato a crescere fino a diventare una vera e propria bolla. I fondi pensione sono oggi la fonte di molti dei capitali dietro le compagnie che stanno acquisendo terre a livello globale.
Per quando riguarda il tipo di coltivazioni Grain sottolinea l’espansione delle piantagioni di palme da olio, che da sole sono responsabili di una larga fetta di accaparramenti di terre da parte soprattutto di gruppi asiatici come Wilmar, Olam e Sime Darby, che si sono ritagliate ampie porzioni di territorio in Africa così come in America Latina, Estremo oriente e Pacifico.
Tra i “motivi di speranza” e i fattori positivi il rapporto enuncia la maggiore consapevolezza del fenomeno da parte dell’opinione pubblica, grazie anche al ruolo della stampa che ha condotto inchieste giornalistiche sul tema e a quello delle organizzazioni non governative, che monitorano il problema e raccolgono informazioni puntuali. A giocare un ruolo decisivo sono state in ultima analisi le popolazioni locali, che hanno lottato per far valere i propri diritti incalzando i propri governi e battendosi contro la corruzione.
Scarica qui il report completo di GRAIN