Creato in Francia nel 2015 da due giovani ingegneri, e lanciato in Italia da qualche mese, Lilo è il primo motore di ricerca solidale che permette a chi lo utilizza di finanziare progetti sociali e ambientali
Dal computer, da uno smartphone o un tablet è un’azione che capita di fare più volte al giorno: cercare qualcosa nel vasto mare di internet a partire da un motore di ricerca. Il più utilizzato al mondo è di gran lunga Google (79,5% degli utenti). A distanza ne seguono altri, come Bing (7,3%) e Yahoo (4,9 %). Da qualche mese, in Italia, è arrivato un motore di ricerca diverso dagli altri, che permette a chi lo utilizza di finanziare a costo zero progetti solidali, creando un impatto positivo sulla società o sull’ambiente. Si chiama Lilo (lilo.org) e il suo slogan è un invito alla consapevolezza: “Le tue ricerche hanno potere”.
A lanciarlo in Italia, nell’ottobre dello scorso anno è stata una giovane laureata in Economia, Federica Fusco, 25 anni, che sta concludendo un master in Business Administration all’università di Tor Vergata a Roma.
L’idea di Lilo nasce nel 2015 in Francia, da due giovani ingegneri: Clément Le Bras e Marc Haussaire. «A gennaio del 2017 sono partita per un anno di studio a Parigi, tramite la mia università – spiega Federica -. Là mi sono accorta che alcuni studenti utilizzavano un motore di ricerca che non avevo mai visto prima e mi sono incuriosita, quindi ho contattato e incontrato i due creatori, Clément e Marc. Il primo, dopo un’esperienza di volontariato in Cambogia, desiderava creare un’impresa sociale che potesse contribuire a finanziare progetti a favore di popolazioni più povere nel mondo. Marc, invece, lavorava nel settore della pubblicità, ma si era reso conto che quell’ambiente non faceva per lui. Insieme hanno creato Lilo, che utilizza la pubblicità in modo positivo, per finanziare progetti ad alto impatto sociale e ambientale invece che rimpinguare le casse dei colossi informatici».
Non tutti sanno, infatti, che motori di ricerca come Google e Yahoo guadagnano in media dai 30 ai 50 euro l’anno per ogni utente che si connette. E gli utenti sono miliardi. Le aziende che li hanno creati guadagnano circa 75 miliardi di dollari ogni anno grazie agli annunci commerciali. Lilo ha creato un meccanismo che permette di redistribuire il 50% di questi guadagni, e che riconsegna agli utenti la facoltà di decidere dove indirizzarli.
Su Lilo compaiono progetti di associazioni o imprese sociali ai quali ogni mese gli utenti possono decidere di riversare una parte o tutto ciò che il sito ha guadagnato con le loro ricerche. Il funzionamento è semplice: a ogni ricerca effettuata corrisponde una “goccia”, che viene immagazzinata e visualizzata in alto a destra sulla pagina del singolo utente. Si accumulano così tante gocce quante sono le ricerche e, quando lo si desidera, è possibile “distribuire” le gocce, che vengono monetizzate e tramutate in un corrispettivo in euro che Lilo versa ai progetti sociali o ambientali pubblicati sulla piattaforma.
Ogni singolo utente può scegliere di volta in volta uno o più progetti e cambiarli nel tempo, in base alla causa che si desidera sostenere o all’organizzazione di cui ci si fida di più. Si tratta, per esempio, di progetti a favore dei senzatetto, di agricoltura sostenibile, o di protezione ambientale.
In Italia hanno aderito a Lilo Slow Food, l’organizzazione fondata da Carlo Petrini che tutela la biodiversità, e Slotmob, la campagna per combattere e prevenire il gioco d’azzardo. «Le organizzazioni che vogliono proporre un progetto devono compilare un modulo che si trova sulla piattaforma e inviarlo a Lilo – spiega Federica -. A Parigi c’è un team che verifica che l’organizzazione proponente sia affidabile e abbia un reale impatto. In caso affermativo il progetto viene pubblicato e diventa visibile a tutti gli utenti».
In Francia Lilo ha già 700 mila utenti al mese e ha versato più di 600 mila euro ai progetti, in Italia è partito lo scorso ottobre e ha finora raccolto circa 14 mila euro. Da poco la piattaforma è sbarcata anche in Spagna. All’impresa sociale che gestisce Lilo lavorano ad oggi dieci persone: «Quello che mi sorprende di più è che l’impresa si sta sostenendo economicamente pur devolvendo il 50% degli utili», afferma Federica.
Lilo, oltretutto, ha compiuto una scelta etica ben precisa. I tradizionali motori di ricerca hanno infatti due fonti di guadagno: gli annunci commerciali che compaiono fra le prime tre risposte alla ricerca effettuata e la pubblicità legata alla profilazione dell’utente. Le piattaforme tengono conto infatti di tutte le ricerche effettuate dal singolo utente e nei box laterali propongono pubblicità mirata sul suo profilo. «Noi abbiamo rinunciato a questo secondo introito, scegliendo di rispettare la privacy e di non pubblicare la pubblicità intrusiva che deriva dal tracking delle ricerche – spiega Federica -. Lilo quindi guadagna meno: circa 10 euro all’anno per utente, la metà dei quali vengono devoluti. L’efficacia invece è la stessa degli altri motori di ricerca, perché Lilo ha affittato lo stesso algoritmo utilizzato da Google, Yahoo e Bing, perciò garantisce gli stessi risultati».
Lilo paga per ora le tasse in Francia, ma l’obiettivo è costituire un’impresa sociale in ogni Paese nel quale il motore di ricerca è attivo. «Uno dei criteri è che i progetti finanziabili siano vicini territorialmente agli utenti, in modo da creare comunità che dal virtuale passino al reale e viceversa» spiega Federica.
In Italia il progetto di Lilo è stato citato dell’economista Leonardo Becchetti come un modo per «votare con il portafoglio», ovvero acquistare prodotti e servizi che aiutino a costruire un mondo più trasparente, etico e solidale. Il modello etico al quale si sono ispirati i creatori di Lilo è quello del movimento francese “La rivoluzione del colibrì”, che a sua volta si ispira a una favola africana. Nella foresta scoppia un incendio – narra la storia -. Tutti gli animali scappano ma un colibrì vola avanti e indietro fra il lago e il fuoco portando una goccia d’acqua nel becco. A chi gli fa notare che non riuscirà mai a spegnere l’incendio, risponde: «Faccio la mia parte!».
Ispirandosi a questa storia, Lilo ha scelto la goccia come simbolo di un possibile esercizio di libertà, e di consumo consapevole e solidale.