Taormina: mai un G7 così incerto

Dall’immigrazione alle tasse sulle imprese globali i sette governi più potenti del mondo non hanno ancora individuato un percorso comune in vista del summit che si terrà a Taormina fra meno di dieci giorni.
Il prossimo 26 e 27 maggio si terrà a Taormina, in Sicilia, il G7, la riunione dei capi di governo di sette dei paesi più industrializzati al mondo: Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Canada. La mission è “Costruire la basi di una fiducia rinnovata”, ma di fiducia tra i membri del G7 se ne vede ben poca e, in un territorio “caldo” come la Sicilia alle prese con il fenomeno migratorio, mai un G7 è sembrato così freddo. A dieci giorni dal summit manca ancora una bozza della Dichiarazione finale, il Final Communiqué in gergo tecnico. Chi segue i lavori del G7 di solito ne prende visione con almeno due mesi di anticipo, visto che compito di redigere il documento, che poi sarà approvato formalmente di leader nella fase conclusiva del summit, è degli Sherpa, ovvero i rappresentanti personali per il G7 dei capi di stato o di governo per tutte le questioni che formano l’agenda del vertice (per vedere come funziona il G7 leggi qui). Il problema è proprio questo: l’agenda del vertice, secondo chi sta seguendo direttamente i lavori non è mai stata così vaga. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, alla vigilia del G7 finanziario che si sta svolgendo fra oggi e domani a Bari, ha ribadito che sarà centrale la lotta alle disuguaglianze. Ma questo tema, che doveva essere la “road map”, ovvero il filo conduttore del G7, pare sia stato “degradato” a un argomento di discussione in agenda fra gli altri, ed è forte il dubbio che non ci sarà né un impegno preciso né un accordo comune fra i membri del G7. Anche sulla web tax globale, ovvero la tassazione delle imprese che operano sul web, il consenso si prospetta difficile e potrebbe esserci una presa di distanza degli Stati Uniti. L’immigrazione è un tema molto in alto dell’agenda dell’Italia, ma anche molto critico per la Gran Bretagna in fase di Brexit e per gli Stati Uniti. Altro tema spinoso è il cambiamento climatico, una parola che la nuova amministrazione Usa di Donald Trump non vuole neppure sentir pronunciare.
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