Nel vertice Cina-Africa il governo di Pechino ha annunciato l’intenzione di cancellare i debiti in scadenza a fine anno concessi ai Paesi a basso reddito. Si tratta di una misura che si inserisce nel programma annunciato dal G20. Ma – come spiega l’economista Riccardo Moro – «Pechino, con i suoi prestiti facili per interessi politici, ha avute grosse responsabilità nel riacutizzarsi del problema. Che ora invece va affrontato in termini di sviluppo vero»
La Cina sospende ai Paesi africani e agli altri Paesi a basso reddito il pagamento dei debiti contratti con Pechino in scadenza da qui alla fine del 2020. L’annuncio è arrivato ieri da Xi Jinping nel corso di un vertice Cina-Africa tenuto in video-conferenza. Si tratta di un gesto che va nella direzione già indicata qualche settimana dal G20, il gruppo dei Paesi più industrializzati, che alla luce dei problemi posti dall’emergenza Coronavirus – e anche accogliendo l’appello lanciato in proposito il giorno di Pasqua da Papa Francesco – invitata a dare ossigeno in questo modo alle economie dei Paesi più poveri.
L’annuncio di Xi Jinping è però particolarmente importante per il ruolo che la Cina oggi ha in questo problema del debito. Come spiega infatti Riccardo Moro – economista, già responsabile nel 2000 della campagna Cei sulla remissione del debito in occasione del Giubileo – in un articolo in uscita sul numero di luglio di Mondo e Missione, il riemergere del problema del debito dei Paesi a basso reddito non è affatto legato al solo Coronavirus. E proprio la Cina ha avuto in questi ultimi anni una responsabilità importante nel riproporsi del meccanismo perverso dell’indebitamento fuori controllo, soprattutto in Africa.
«Quando nel 2000 l’allora G7 condonò debiti per 40 miliardi di dollari, a cui se ne aggiunsero altri 130 miliardi condonati da istituzioni finanziarie internazionali – ricorda Riccardo Moro – erano stati previsti meccanismi di controllo sui nuovi debiti (responsabilità del prestatore, vincoli all’uso concordato dei fondi…). Sono però entrati in gioco nuovi attori che non hanno seguito queste linee. La Cina, per esempio, per favorire i propri interessi ha cominciato a offrire soldi facili. Ma anche i cosiddetti “fondi avvoltoio”, società che comprano dalle banche debito a scadenza e poi ricorrono a strumenti di diritto privato per farselo rifondere. Il risultato è che la quota del debito in mano a “prestatori storici” – attori pubblici dell’Occidente, banche regionali di sviluppo, istituzioni finanziarie… – oggi è meno alta di un tempo. E questo rende più difficile avere un panorama chiaro della situazione. Senza dimenticare che dall’altra parte della scrivania spesso vi sono leader con scarso senso di responsabilità nel gestire le finanze».
Uno studio della John Hopkins University ha stimato in 150 miliardi di dollari l’ammontare dei prestiti concessi da Pechino dal 2000 a oggi, che corrisponderebbero a una quota intorno al 20% dell’intero debito attuale dei Paesi africani nelle mani della sola Cina. Una leva economica inseparabile dagli interessi geopolitici di Pechino. Se da una parte – dunque – l’annuncio di Xi Jinping è ovviamente una buona notizia per l’Africa, dall’altra senza un impegno davvero globale per lo sviluppo non potrà che finire per accentuare la dipendenza da Pechino di Paesi come, ad esempio, l’Angola, l’Etiopia, lo Zambia, il Congo Brazaville o il Sudan, tutti fortemente indebitati con la Cina.
«Occorre attenzione nella gestione politica di questa partita e la prossima Assemblea generale dell’Onu a settembre che dovrebbe rimettere al centro il tema degli Obiettivi di sviluppo sarà un’opportunità importante – aggiunge ancora Riccardo Moro nell’articolo di Mondo e Missione -. Perché se la Cina oggi è uno dei principali creditori, bisognerà certamente chiedere che si faccia carico della cancellazione almeno di una parte di questo debito. Ma bisognerà anche stare attenti a come questo discorso andrà a inserirsi negli equilibri geopolitici attuali. Perché l’obiettivo deve restare l’attenzione allo sviluppo; non deve diventare un pretesto per altre battaglie di tipo economico o politico».