L’omelia del patriarca latino di Gerusalemme nella veglia di Pentecoste presieduta nella chiesa più vicina a Sheikh Jarrah, a poche ore da un cessate il fuoco che non ha spento gli odi di questi drammatici giorni: «Non bastano gli incontri interreligiosi: impegniamoci perché nelle nostre scuole, nelle nostre istituzioni, nei media, nella politica, nei luoghi di culto risuonino il nome di Dio, di fratello e di compagno di vita»
Simboli religiosi branditi come trofei. Insieme alla pretesa di risolvere con una disputa giudiziaria sulla proprietà di alcune case le ferite lasciate aperte a Gerusalemme dalle guerre del Novecento. C’è ancora una volta lo sguardo chiuso sull’identità dell’altro dietro all’alta tensione che nelle ultime ore è di nuovo sfociata in violenza nella Città Santa
Mentre scorrono le immagini della preghiera muscolare di Erdogan a Santa Sofia il pensiero va a uno dei luoghi più nascosti di Gerusalemme. Che in Saint Helena Road racconta la storia del giorno in cui il califfo Omar – il conquistatore – scelse per rispetto dei cristiani di non entrare al Santo Sepolcro
L’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme all’indomani della presentazione del piano di Trump: «La nostra società è sempre stata culturalmente e religiosamente pluriforme. Eppure oggi assistiamo al rifiuto a riconoscere questa diversità, dove ciascuno ha la sua dignità e i suoi diritti»
L’Assemblea degli Ordinari cattolici della Terra Santa di fronte alle violenze di queste ore: «Non c’è ragione per impedire al Gerusalemme di essere la capitale di Israele e della Palestina, ma ci si potrà giungere solo attraverso il negoziato e il rispetto reciproco». Mons. Pizzaballa: sabato digiuno e preghiera per la pace nella giustizia a Gerusalemme
I popoli giunti da lontano guidati da una stella oggi in Terra Santa hanno il volto dei figli degli immigrati; bambini asiatici e africani che per la legge israeliana non dovrebbero esserci, per i palestinesi semplicemente non esistono ma sentono anche loro Gerusalemme come propria. Viaggio a Casa Rachele, dove ci si prende cura di loro
I figli di lavoratori immigrati e di richiedenti asilo vivono nella Città Santa senza alcuna tutela. Ma parlano ebraico e si sentono parte di Israele. L’esperienza di accoglienza di Casa Rachele