Il disastro umanitario provocato dalle ultime due settimane di scontri nello Stato birmano di Rakhine al confine con il Bangladesh. L’urgenza di offrire a questo popolo in fuga uno status garantito internazionalmente
Gli attacchi di questi giorni di ribelli di etnia Rohingya contro postazioni della polizia in Myanmar e le notizie frammentarie sulla presenza di profughi della stessa etnia che cercano nuove vie di fuga riaccendono i riflettori sulla situazione di questo popolo in Myanmar e Bangladesh, Paesi che papa Francesco visiterà a fine novembre.
A centinaia, negli ultimi anni in cui la persecuzione si è accentuata nello Stato occidentale birmano di Rakhine, anche appena dodicenni, sono state date in matrimonio a individui che promettono loro la libertà e la sicurezza in cambio del matrimonio
Dacca ha annunciato l’intenzione di ricollocare sull'(inospitale) isola di Thengar Char, nel Golfo del Bengala gli oltre 66mila profughi arrivati da ottobre. Adottando la stessa politica già seguita dall’Australia a Manus e a Nauru
Tra le critiche dei premi Nobel e le accuse di debolezza avanzate dall’opposizione, in Myanmar si fa sempre più difficile la situazione della minoranza musulmana dello Stato occidentale di Rakhine. E si teme che questo dramma irrisolto possa alimentare la radicalizzazione islamista
Le indagini sulla strage del 1° luglio a Dhaka stanno svelando legami diretti con lo Stato islamico. E si teme che i «combattenti» che rientrano da Siria e Iraq trovino un nuovo terreno di coltura tra i profughi rohingya, che continuano a giungere dal Myanmar
Una serie di attacchi sulla frontiera con il Bangladesh ha scatenato come reazione un’altra ondata di violenze verso quella che l’Onu definisce «l’etnia oggi più perseguitata a mondo». Una vicenda che riapre anche il nodo dei rapporti tra i miliari e Aung San Suu Kyi in Myanmar
Riuniti i rappresentanti di numerose etnie come i Karen, i Kachin, gli Shan, i Wa, i Kayah, scettiche in maggioranza ma disponibili a cessare le ostilità in cambio di un sistema federale che garantisca sicurezza e diritti. Ma non ci sono comunque i Rohingya