Rinviate per il tentato colpo di Stato le elezioni previste per domani. E ora a una Missione di osservatori dell’Unione europea guidata dall’europarlamentare italiana Cécile Kyengue è stato affidato il compito di vigilare su un percorso verso le urne ancora pieno di incognite
Domani avrebbero dovuto svolgersi le elezioni in Burkina Faso, ma la data è slittata dopo il colpo di stato del 16 settembre. Il governo di Ouagadougu ha chiesto all’Unione europea di inviare una Missione di osservatori per vigilare sul percorso che porterà alle urne in una nuova data ancora da definire. E a guidare la missione è stata chiamata l’europarlamentare italiana Cécile Kyengue, ex ministro dell’integrazione, che è già a Ouagadougu. Pubblichiamo qui sotto un lucido resoconto di Eyoum Ngangué che apparirà sul numero di novembre 2015 di Mondo e Missione: ricapitola quanto accaduto e quali sono le questioni che restano aperte. Per non lasciar spegnere i riflettori su questo Paese in bilico.
Le donne e gli uomini ”integri” del Burkina Faso (il “Paese degli uomini integri” letteralmente) pensavano di aver fatto la parte più difficile a fine ottobre 2014. Dopo imponenti proteste di piazza e poche decine di morti, il Presidente Blaise Compaoré, al potere da 27 anni, è stato costretto ad andare in esilio in Costa d’Avorio. Non si era, però, tenuto conto della determinazione di una manciata di fedelissimi del suo regime disposti a ripristinare il vecchio ordine con tutti i mezzi. Innanzitutto moltiplicando la pressione sulle autorità di transizione, installate dopo la partenza di Compaoré e incaricate di organizzare elezioni libere e democratiche, originariamente in programma per l’11 ottobre.
Ma né il governo di transizione presieduto da Michel Kafando, né il Consiglio nazionale di transizione (che fa le veci del Parlamento in attesa di nuove elezioni) hanno ceduto a tutte le richieste. Anzi, hanno deciso di avviare indagini per determinare i presunti crimini economici commessi dal vecchio regime e hanno escluso dal processo elettorale i candidati pro Compaoré che avevano sostenuto il disegno di legge che ha scatenato la rivolta contro l’ex Presidente.
Tutto questo ha avuto delle conseguenze: lo scorso 16 settembre uno squadrone del Régiment spécial présidentiel (Regimento speciale presidenziale, Rsp) ha fatto irruzione nella sala del Consiglio dei ministri, dove sedeva il governo di transizione, e ha preso in ostaggio il Presidente della Repubblica, il primo ministro e diversi ministri. Il giorno successivo, Gilbert Diendéré, fondatore e capo ufficioso del Rsp generale annunciava di aver preso il potere. Fin dalla sua apparizione in televisione, il Paese si è infuocato nuovamente come 11 mesi prima.
I giovani di Ouagadougou e delle principali città del Paese hanno eretto barricate nelle strade e messo a fuoco pneumatici ai principale incroci della capitale. Hanno risposto così alla chiamata degli attivisti del Balai national (letteralmente la “scopa nazionale”), un movimento, creato nel 2013 dai due rapper Smokey e Sams’k Jah contro il prolungamento del mandato di Blaise Compaoré. Questo movimento ha dimostrato una grande capacità di mobilitare i giovani. Anche nelle altre città del Paese, l’opposizione non si è tirata indietro. E così, sfidando il coprifuoco imposto dai golpisti, a Bobo Dioulasso (seconda città del Paese) le donne sono scese in strada, armate di spatole per colpire simbolicamente il generale Diendéré. Nella tradizione di questa parte del Burkina Faso, le donne tirano fuori questo utensile da cucina solo quando sono molto arrabbiate. In tutto il Paese si poteva vedere la gente mostrare la propria ostilità per agli uomini del generale Diendéré, issando cartelli con scritte del tipo: “Rsp = Isis” o “Diendéré = criminale”.
Allo stesso tempo, il sindacato dei magistrati annunciava di non avere alcuna intenzione di essere fedele alla giunta militare. Anche gli altri sindacati si sono riufiutati di cooperare con i golpisti, mentre i partiti politici hanno respinto la richiesta del generale golpista di dialogare. La stragrande maggioranza dei media, i rappresentanti delle principali religioni e i capi tradizionali hanno esplicitamente condannato il colpo di Stato.
Meno armato del Rsp, il resto dell’esercito ha avuto all’inizio un momento di esitazione poi, spronato dai giovani ufficiali, si è allineato al movimento di protesta.
Sul piano diplomatico, l’Unione Africana ha immediatamente imposto delle sanzioni contro la giunta di Diendéré, mentre Ecowas, l’organizzazione regionale che riunisce che i Paesi dell’Africa occidentale, ha intrapreso una mediazione per il ritorno del potere ai civili.
Infine, anche, la Francia, ex potenza coloniale – che possiede una forza di quasi 800 uomini in Burkina Faso – ha mostrato la propria ostilità alla presa del potere da parte del Rsp.
Messi insieme tutti questi elementi, è stato evidente che l’iniziativa del generale di Diendéré non avrebbe avuto futuro. Per impedire che la gente si radunasse, i militari del Rsp hanno moltiplicato brutalità e azioni punitive mirate contro i leader del Balai national. Incalzati dai dimostranti, i soldati hanno però perso rapidamente la guerra della comunicazione, perché grazie ai social network e ai telefoni cellulari, gli abusi commessi dai membri della giunta hanno fatto rapidamente il giro del mondo, così come la determinazione di coloro che si opponevano al colpo di stato. Isolato all’interno e all’esterno del Paese, Gilbert Diendéré ha quindi deciso di fare marcia indietro.
Nel frattempo, il Rsp veniva dissolto per decreto presidenziale e i suoi leader arrestati, mentre la maggior parte degli effettivi di questa corpo d’élite veniva distribuita nelle unità dell’esercito in tutto il Paese.
Finalmente libero dalla spada di Damocle rappresentata dal Rsp – e dalla spina nel piede rappresentata dal generale Diendéré – il Burkina Faso può incamminarsi nuovamente sulla via di un modello democratico. La cosa più urgente ora è organizzare elezioni non più prorogabili. Ne saranno esclusi gli ex dignitari del regime di Compaoré, così come le autorità che guidano la transizione. Questo lascia il campo aperto a un confronto politico tra i due principali partiti, il Mouvement du peuple pour le progrès (Movimento del popolo per il progresso, Mpp) e l’Union pour le progrès et le changement (Unione per il progresso e il cambiamento Upc).
Il Mpp è composto da ex membri del partito di Compaoré, entrati in conflitto con lui dal gennaio 2014 ed è presieduto da Roch Marc Kaboré, ex presidente dell’Assemblea nazionale ed ex primo ministro. Per essersi allontanato da Compaoré prima di altri, questo partito si è affermato in tutto il Paese e ha il vento in poppa nei sondaggi.
Il suo principale avversario, l’Upc, è presieduto da Zéphyrin Dabré, ex vicedirettore dell’Agenzia Onu per lo sviluppo (Undp). Quest’uomo nuovo incarna la rottura con il passato e potrebbe sedurre una buona parte dell’elettorato. Nel ruolo di outsider, l‘Unione per la rinascita/Movimento sancarista (Unir/Ms) dell’avvocato Bénéwendé Stanislas Sankara non si limiterà certamene al ruolo della comparsa. Molto popolare nei contesti urbani e tra i giovani, nonché vicino ai leader del Balai national, porta il messaggio rivoluzionario veicolato da Thomas Sankara tra il 1983 e il 1987, ancora vivo in Burkina Faso e ovunque in Africa e considerato una delle vie per uno sviluppo autenticamente africano.
La capacità di gestire la campagna elettorale, far circolare le idee e accettare il verdetto delle urne sono le prossime sfide che attendono la classe politica del Burkina Faso. I leader eletti sono chiamati a un grande impegno: soddisfare la sete di vita dignitosa di una popolazione che ha combattuto per la sua libertà. Una popolazione esasperata dalle disuguaglianze sociali, che il regime di Blaise Compaoré ha ulteriormente accentuato. Il contrasto insopportabile tra le ville lussuose del quartiere Ouaga 2000 e le baraccopoli degradate di Nagrin, a qualche centinaio di metri distanza, ne è solo un esempio. Nelle strade, enormi suv 4x4s sfrecciano accanto a biciclette sgangherate. Di fatto il Paese ha poche risorse, al di fuori delle miniere d’oro. Ma una manciata di persone, si è arricchita grazie alla corruzione e ne approfitta con arroganza.
Un’altra grande sfida per i futuri dirigenti del Burkina Faso è la necessaria riforma delle forze armate, affinché l’esercito svolga semplicemente un ruolo “repubblicano” di difesa del paese e protezione del suo popolo. E affinché mai più una parte, meglio armata dell’altra, possa mettere in pericolo la democrazia di nuovo acquisita. Ultima questione: è essenziale conferire un ruolo costituzionale formale ai capi tradizionali, visto che alcuni di loro hanno giocato un ruolo di mediazione fondamentale che ha permesso di evitare l’implosione del Paese, in particolare il Mogho Naaba, capo dei mossi di Ouagadougou, e Sidiki Sanou, capo di bobo-mandaré.
Gli avvenimenti del Burkina Faso hanno dimostrato che la volontà della gente può essere in grado di contrastare le ambizioni di un solo uomo o di un piccolo numero di persone assetate di potere, e che un Paese africano è capace di risolvere una grave crisi interna, senza che un intervento militare esterno venga a complicarne ulteriormente la risoluzione.
Mezzo secolo vissuto pericolosamente
5 agosto 1960 : indipendenza dell’Alto Volta
3 gennaio 1966 : colpo di Stato del colonnello Sangoulé Lamizana
24 novembre 1980 : il colonello Saye Zerbo depone Lamizana
7 novembre 1982 : colpo di Etat del comandante Jean-Baptiste Ouedraogo
4 agosto 1984 : Golpe del capitano Thomas Sankara, che ribattezza il Paese Burkina Faso
15 ottobre 1987 : Sankara viene assassinato. Sale al potere il capitano Blaise Compaoré
31 ottobre 2014 : Compaoré viene cacciato da una sollevazione popolare
1 novembre 2014 : il colonnello Yacouba Isaac Zida è designato capo di Stato ad interim dall’esercito
21 novembre 2014 : Michel Kafando è designato Presidente ad interim.
17 settembre 2015 : tentativo di colpo di Stato del generale Gilbert Diendéré