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Chiesa tra le case e pulpito del marciapiede

Leggo sulla rivista Jesus dello scorso febbraio: «È necessario cercare nuove forme di organizzazione ecclesiale sul territorio, dalle unità e zone pastorali alle équipe vicariali e di zona per rispondere ad alcuni bisogni evidenti. La manifesta “insufficienza” della parrocchia, la carenza di sacerdoti, la maggiore mobilità della popolazione e il venir meno di molti “confini” geografici, la mutata condizione esistenziale culturale e religiosa delle persone a cui la Chiesa è chiamata a predicare il Vangelo». L’arcivescovo di Udine Andrea Bruno Mazzoccato ha invitato vescovi, preti e laici delle quindici diocesi del Nord-Est a riflettere sulle nuove forme di presenza di Chiesa e su alcune sperimentazioni in corso. Concordo pienamente con l’affermazione: «Non è più tempo di aggiustamenti, ma si è chiamati ad assumere, con pazienza e determinazione insieme, una sfida forte per rispondere oggi e in un mondo rinnovato all’esigenza di trasmettere il Vangelo, di stare come Chiesa tra le case della gente e di offrire alle persone e alle comunità una reale esperienza di Cristo». Alcuni preti qui in Italia mi hanno chiesto come trasmetto il Vangelo in Algeria tra i musulmani. Anche mia sorella religiosa mi tempesta sempre di domande: «Che apostolato fai? Quanti ne converti?». Rispondo che il mio pulpito principale è la strada e il marciapiede. Il cardinal Martini scrisse: «Occorre guardare non tanto, in modo generico, all’islam in quanto religione e tradizione (della quale, fra l’altro, sappiamo ben poco), ma all’uomo islamico come lo incontriamo nelle nostre città. È da questo rapporto che nasce il dialogo. È da questo riconoscimento fraterno che nasce un cammino di pace, nella realtà quotidiana». Alcuni anziani mi dicono: «Passa spesso di qui e resta un po’ con noi». È sempre sul marciapiede che vivo i miei incontri, qualche volta bevendo il tè, seduto su uno sgabello. Papa Benedetto in Germania ha detto: «L’umiltà è l’olio che facilita il dialogo». Ritengo che il mio stare accanto a questa popolazione con affetto e discrezione, vivendo, corrisponda a quanto dice ancora Martini: «Un’autentica esperienza dello Spirito Santo: lo Spirito è infatti il vincolo di unità tra i diversi e aiuta ciascuno a gridare l’Abba del cuore e della vita verso l’unico Padre di tutti». C’è poi il pulpito del tavolo della biblioteca nella mia casa, attorno al quale passo del tempo con studenti e adulti che vogliono leggere, studiare e parlare il francese. Qualcuno anche l’italiano. Ma poi tocchiamo vari temi e arriviamo anche, per esempio, all’insegnamento della vita. E infine il terzo pulpito: quello dell’Eucaristia, con le Piccole Sorelle, dove condividiamo la Parola e il Pane di Dio. È la mia vita, il Vangelo dei tre pulpiti, nei quali percepisco quanto avviene e si muove nel cuore della gente che accosto. C’è un grande bisogno di rinnovamento all’interno del Paese e dell’islam e mi sento chiamato ad accompagnare le persone nei vari aspetti della vita. Sono in attesa di una buona notizia? Quella che li aiuta a leggere il vero Corano e a vivere il vero islam? E ora esprimo quanto ho colto giorni fa durante la settimana biblica di Paderno del Grappa sul tema “Camminando s’apre cammino”, tenuta da mons. Antonio Marangon coi suoi stretti collaboratori don Luca Pizzato e don Michele Marcato. Marangon fa notare, traducendoun brano di Giovanni (Gv 1,35-42), che Gesù non ha invitato i discepoli ad abitare con lui, ma a stare con lui e a seguirlo. In realtà Gesù non aveva fissa dimora perché voleva raggiungere continuamente ogni situazione umana di infermità (fisica o morale) e annunciare così il Regno di Dio. Ha incontrato al pozzo la samaritana, ha sentito il grido del cieco dal ciglio della strada, ha esaudito il buon ladro sulla croce, ha chiamato con sé il pubblicano Levi, nemico dei giudei, si è lasciato toccare il vestito per strada dall’emorroissa, si è commosso all’immagine dei cagnolini che mangiano le briciole dei bambini. E ha detto alla mamma cananea: «La tua fede è grande». Ho visto mons. Marangon commuoversi e affermare con forza la sensibilità di Gesù nel cogliere la fede di “altri” (altre fedi). Ha ricordato inoltre che in un primo momento Gesù ha vissuto l’evangelizzazione del Regno di Dio, di Dio che ama tutti gli uomini e li vuole salvi e che poi Gesù, in un secondo momento, si è impegnato ad avvicinare i discepoli a sé e a formarli. Marangon ha poi aggiunto che le prime comunità dei discepoli, dopo la Pentecoste, non avevano nessuna organizzazione, ma crescevano e si formavano «nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere… e ogni cosa era fra loro comune». E i primi cristiani si disperdevano, semplici laici e autentici credenti, col Cristo Risorto nel cuore e nella vita, e diventavano veri missionari, accendendo la fede nel Signore Gesù e attuando l’universalità della Chiesa anche senza saperlo, guidati dallo Spirito. Questo ricordare Gesù e i primi discepoli testimoni è di grande importanza per l’evangelizzazione del mondo odierno, perché oggi siamo anche noi in situazione di vivere come Gesù e i discepoli nei loro primi momenti di evangelizzazione, immersi in un mondo di culture e di fedi molteplici o in un mondo senza fede e cultura. Ci tocca, preti e laici, vivere “una Chiesa che sta tra le case della gente”, che sente gli odori di queste case e non si limita a servire pastoralmente quelli che entrano in Chiesa. Il servizio pastorale, ora si apre alla preghiera continuamente missionaria, alla fedeltà alle beatitudini evangeliche e si forma ad accostare e a dialogare. Uscire poi insieme per poi sedersi accanto a ogni figlio di Dio e fratello di Gesù per ascoltare, soffrire e gioire, e lasciarsi sorprendere dai valori umani ancora vivi anche nel più disgraziato, percepire qualche segno della cultura e della fede dell’altro, qualche segno del Regno di Dio e dei suoi disegni più ampi dei nostri e accompagnare e curare ogni situazione di infermità fisica o morale. Per avere la libertà di accostarsi alla gente e mantenere vivo il ministero di Gesù che forma ancora oggi i suoi discepoli, la Chiesa ha bisogno di ritrovare una libertà maggiore da tante strutture e tante pesantezze del passato. Cosa non facile. «Desidero una Chiesa povera per i poveri», dice Papa Francesco. La Chiesa nell’Italia del Nord-Est ha già nel suo Dna la passione ad “uscire”, dentro e fuori, fino anche ai Paesi lontani. Basta ricordare i suoi pastori che vivevano con la gente con forte intensità emotiva e paterna, i laici delle associazioni, le migliaia di figli e figlie partiti missionari e le migliaia di emigranti, testimoni cristiani pure loro. È il gregge che è nuovo e nuove sono le forme di “sperimentazioni” in cui vive oggi la Chiesa. Ma non lasciamoci prendere dal panico. Piuttosto affidiamoci allo Spirito che continuerà a guidare la Chiesa nel nuovo servizio pastorale, nella nuova comunione fraterna e nel nuovo uscire. Tutto questo in clima di preghiera, in stato di preghiera, come insiste a non finire mons. Marangon.  

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