Complotti
In maggio si sono scatenati migliaia di lavoratori delle fabbriche di tessuti e abiti che pullulano nella zona nord di Dhaka e costituiscono – insieme alle rimesse degli emigranti – la spina dorsale dell’economia del paese. La protesta dei dipendenti di una ditta che non pagava gli stipendi da mesi è dilagata: duecento stabilimenti incendiati, centinaia i feriti, gli arresti, due morti in uno dei primi giorni. Le fabbriche sono poi state chiuse per una settimana. Scioperi, disordini, pestaggi e chiusure sporadiche continuano.
Gli analisti cercano le cause dell’inattesa rivolta. Complotto dei paesi vicini per rovinare l’industria bengalese e vincerne la concorrenza nella esportazione? Trama delle opposizioni per mettere in difficoltà il governo? Disegno di alcuni settori della coalizione al governo per rinviare le prossime elezioni? L’estrema sinistra che, “tanto peggio tanto meglio”, vuol creare una situazione come quella del Nepal? Estremismo islamico…?
Potrebbe esserci pure un’altra ragione: operai e operaie che hanno un contratto di lavoro di 72 ore settimanali (12 ore al giorno per 6 giorni la settimana) per uno stipendio mensile di 930 taka (10,94 Euro, potere d’acquisto = 43,76 Euro), straordinari frequenti, obbligatori e spesso non pagati, riposo settimanale spesso saltato, picchiatori in fabbrica per punire chi sbaglia, mafia che esige una percentuale dello stipendio, condizioni igieniche indescrivibili, stipendi spesso pagati in ritardo di mesi e ogni tanto qualche ragazza bruciata viva perché scoppia un incendio e i cancelli di fuga sono chiusi… potrebbero aver perso la pazienza.
Numerose ditte hanno un rapporto corretto con i dipendenti. Ma il quadro descritto qui sopra è diffuso, e quando la rabbia si scatena è difficile distinguere.
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