EDITORIALE
L’orizzonte solo materiale e terreno e l’individualismo assoluto soffiano con il vento delle elezioni in Italia. Pregiudicando un livello alto di convivenza, fatto di cura e di responsabilità prima che di diritti
Il vento delle elezioni e del loro esito soffia ancora una volta sull’Italia. Non sono però gli uomini a vincere o perdere, ma le idee; mentre i comportamenti segnalano la propensione al servizio o all’interesse personale. Un amministratore locale, che ho motivo di ritenere assolutamente onesto, mi diceva recentemente: «Ho intestato l’abitazione ai figli. Mi sono privato di tutto. Non sono più proprietario di nulla, perché in politica oggi non si sa mai cosa può succedere». Mi pare che questo amico sia vittima di tirannide. È così pericoloso oggi mettersi al servizio della casa comune, impegnarsi, come nel caso del suo assessorato per la sicurezza e il benessere dei cittadini, dare corso in un paese di provincia a un’innata passione civile e democratica che non è bene rimanga una perla nascosta?
Occorre allora chiedersi dove si nasconda la tirannide. Che cosa porta a un diffuso atteggiamento di opportunismo, corruzione e criminalità amministrativa da minacciare anche gli onesti e tenere molti a distanza da un ambiente che fa loro paura e che percepiscono come insidioso, ma a cui invece potrebbero dare tanto? Perché nei dibattiti pubblici i leader politici si squalificano e visibilmente si disprezzano invece di fare a gara nel suggerire soluzioni alla crisi del lavoro, al fenomeno migratorio, alla povertà e ai conflitti alle porte dell’Europa? Abbiamo parlato per decenni di “diritti” e non è stato un male identificare tutti quelli che, in loro assenza, portano all’abbrutimento della persona e del vivere civile. Ma abbiamo calato la guardia sui “doveri” e sul senso di responsabilità. Ci preoccupa di più ciò che a noi è dovuto rispetto a ciò che noi dobbiamo agli altri. Il tarlo della tirannide è l’egoismo e il menefreghismo, la presunzione di potere e il volere fare da sé e solo per sé. Il pluralismo ideologico non è un male. Ma veramente ogni opinione è uguale alle altre su temi fondamentali e delicati come l’unione familiare, la vita nascente e morente, la rappresentanza politica legittima solo finché scevra da serie responsabilità penali, il respingimento verso il nulla (di fatto verso la morte) delle vittime di guerre e povertà, che noi stessi abbiamo in larga misura alimentato?
La precarietà ormai molto allarmante della famiglia forse più di tutto denota la necessità di un sussulto spirituale nella società. L’orizzonte materiale e terreno e l’individualismo assoluto pregiudicano un livello alto di convivenza, fatto di cura e di responsabilità prima che di diritti, e che coinvolge elementi essenziali di umanità: l’amore fedele in un contesto culturale così fluido, il contrasto alla solitudine e alle sempre più diffuse malattie della psiche, l’accoglienza dei poveri e dei profughi, l’amministrazione onesta e sincera delle comunità, del territorio e dell’ambiente. Sarà forse il caso di abbandonare la presunzione di sé e una dimensione sempre più orizzontale della vita e dei comportamenti per riprendere in mano il Vangelo come testo insuperabile di educazione a un livello più alto di responsabilità e cura reciproca?