L’oasi nel Sahara, circondata da una natura rigogliosa, ha una lunghissima storia e una cultura unica, dovuta al suo isolamento. Per anni meta di nicchia, oggi sta diventando popolare, tra benefici e qualche rischio
Fitti palmeti e uliveti, sorgenti d’acqua dolce e laghi salati: l’oasi di Siwa, che sorge nel deserto del Sahara a 600 chilometri dal Cairo, è un miraggio rigoglioso incastonato tra la depressione di Qattara e il Grande Fmare di sabbia. Perla naturale ma anche luogo di una cultura distinta da quella del resto del Paese, a causa del suo isolamento, la località ha una storia plurimillenaria. A fondarla, undici secoli prima di Cristo, furono gli antichi egizi, e i greci la identificarono come la sede dell’oracolo di Amon, consultato da Alessandro Magno nel 331 a.C.
Un passato testimoniato da diversi siti archeologici, tra cui lo stesso tempio di Amon e la “Montagna dei morti”, che conserva alcune tombe del periodo tolemaico e romano. Richiama antichi fasti anche la sorgente di Cleopatra, in cui secondo la tradizione si bagnò la regina e dove ancora oggi i turisti si ristorano dal clima torrido. Fino a pochi anni fa, i visitatori che si spingevano qui, curiosi di conoscere le tradizioni della popolazione berbera, erano i viaggiatori sostenibili, che alloggiavano negli eco-lodge edificati in armonia con la natura e finanziavano progetti di produzione fair trade, dall’artigianato ai succulenti datteri. Di recente, tuttavia, il governo ha deciso di incentivare il turismo ed è partito il restauro della suggestiva fortezza di Shali, costruita nel XII secolo in karsheef, mix di roccia salata e argilla tipico dell’architettura locale. Nella piazza principale sono sorti ristoranti e negozi di souvenir, con beneficio per l’economia locale. Ma c’è chi teme di perdere uno stile di vita unico e l’antica magia di Siwa.