Emorragia
Questa volta, l’alta tensione, che è cresciuta gradualmente per tutto il 2013 con l’approssimarsi delle elezioni parlamentari, ha visto aumentare la violenza fino a raggiungere livelli mai toccati prima, se si fa eccezione per i 10 mesi di guerra di liberazione nel ’71. Sporadicamente ne avevano fatto le spese anche minoranze buddiste, indù e cristiane, con assalti a volte fomentati da ignobili trucchi, come mettere nel sito di un buddista affermazioni offensive per il Profeta e poi far circolare nei bazar la notizia per infiammare la reazione, o spargere dagli altoparlanti delle moschee la notizia che una moschea era stata assalita.
Dal tre gennaio, antivigilia del giorno delle votazioni, l’obiettivo di questa strategia si è focalizzato sugli indù, che sono la minoranza più consistente, con una serie impressionante di assalti ai loro negozi, abitazioni, templi.
Ma perché, quando la politica impazzisce lasciando il posto alla violenza, a farne le spese sono sempre inermi commercianti o villaggi indù, spesso remoti e poverissimi?
E’ un’eredità purtroppo antica. Il Bengala era buddista, poi indù, infine l’islam ha preso il sopravvento erodendo gradualmente la comunità indù. La politica coloniale ha giocato su queste divisioni, e la libertà, per cui aveva pacificamente lottato Gandhi, fatto nascere non un’India sovrana e unita, ma due stati, India e Pakistan, divisi su base religiosa. L’indipendenza (1947) fu insanguinata da stragi spaventose di indù in Pakistan, e di musulmani in India, con fughe in massa nelle due direzioni.
Il Pakistan voleva essere uno stato di musulmani e secolare nello stesso tempo, ma s’infilò in una serie di regimi militari, colpi di stato, mutamenti della costituzione di cui ancora non si vede la fine. Già nel 1950 scoppiarono gravissimi disordini con stragi e fughe di indù, e nel 1964 fu il governo stesso ad appoggiare le violenze contro di loro per costringerli a lasciare il Paese. Nel 1971 l’esercito pakistano tentò di impedire il distacco e la creazione del Bangladesh, e le prime vittime della crudele repressione e delle vendette furono anche questa volta gli indù, ritenuti sostenitori dell’indipendenza, tentando di metterli in fuga e di annientare la loro rilevanza culturale ed economica, che era di tutto rispetto. Moltissimi loro beni furono incamerati come “proprietà del nemico”.
Nonostante questo, alla nascita della nuova nazione la minoranza indù aveva una consistenza di circa il 25% della popolazione. Ma il tempo dell’armonia finì presto. Ucciso nel 1975 il fondatore del Bangladesh Mujibur Rahman, tornò gradualmente a farsi sentire chi considera gli indù nemici del paese, intrusi, proprietari di terre e beni che fanno gola. Ci furono di nuovo episodi sporadici di assalti e saccheggi, e l’emorragia di questo gruppo riprese lentamente, finché nel 2001 la netta vittoria elettorale del partito nazionalista BNP, con l’alleato fondamentalista Jamaat-Islam, aprì le porte a una serie di persecuzioni violentissime con stupri, saccheggi e omicidi in almeno 2.500 villaggi. Di nuovo molti se ne andarono, poi, dopo un altro periodo di calma, siamo arrivati ad oggi: si rivedono capanne e case bruciate, donne che piangono, uomini smarriti, file di profughi.
Vogliono creare problemi, interni e internazionali, al governo, vogliono formare una nazione esclusivamente islamica, vogliono vendicarsi delle oppressioni sui musulmani in India, vere e presunte, e non mancano i fondamentalisti più radicali che ritengono che questi “infedeli” non abbiano diritto di esistere. Vogliono impadronirsi dei loro beni, una ragione fondamentale che, miscelata con le altre, forma il micidiale veleno che distrugge le minoranze indifese.
Nessuno reagisce? Certo, reagiscono tanti! Partiti, organizzazioni civili, gruppi di buona volontà, intellettuali e gente semplice. Formano “catene umane” di solidarietà e per chiedere giustizia, aiutano, fanno quello che possono. Tutto questo conforta, ma la paura rimane.
Intanto, la minoranza indù in Bangladesh è scesa sotto il 10%. E poi?
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