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Istantanee da Dhaka

Ritorno

Tre anni a Dhaka bastano per abituarsi al traffico, fumo, caos, rumore, folla. Tre mesi fuori Dhaka bastano perché, al ritorno, si abbia l’impressione che la città sia impazzita e il numero dei suoi abitanti raddoppiato.

 

Scorciatoia

Un desolato articolo su The Daily Star commenta l’attuale situazione politica e sociale dicendo che bisogna accettare la realtà: dal gennaio dell’anno scorso speravamo che un regime di semi dittatura potesse ripulire lo sporco del nostro paese e farci arrivare ad elezioni chiare, con partiti decenti. Ora che tutti i pezzi grossi sono di nuovo fuori prigione, non ci resta che prendere atto che il nostro è un Paese profondamente corrotto, e che la democrazia è una parola usata per coprire un sistema in cui prevalgono l’arroganza e la violenza. Le scorciatoie non funzionano, possiamo solo sperare di cambiare e maturare gradualmente, faticosamente, lentamente.

 

Investimenti

Durante il mese di digiuno, moltissimi poveri di villaggio investono i loro soldi in un viaggio per venire a Dhaka, dove sono più abbondanti elemosine, distribuzioni di cibo e indumenti, e altre forme di beneficenza per celebrare il Santo Ramadan e soddisfare al dovere della zaqat, o elemosina legale. Quelli che dormono sul marciapiede vicino al seminario sono triplicati, perché siamo vicino a un grande cimitero, dove si moltiplicano le visite ai defunti, con distribuzione di aiuti. La notte trascorre cucinando quello che si è racimolato, mangiando, pregando, sollecitati – se necessario – dalle sirene delle moschee e dal passaggio di zelanti che svegliano i dormienti: «Alzatevi, mangiate, rispettate il digiuno durante il giorno…». Dal mattino presto, si ciondola e dormicchia per tutto il giorno sul marciapiede, a pancia sempre più vuota,: in questo periodo nessuno li caccia via. Qualcuno sta di sentinella e dà il segnale per correre subito là dove arriva un benefattore a distribuire qualcosa.

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