«Ho nel cuore la gioia dei bimbi di famiglie povere che abbiamo accompagnato a vedere il mare per la prima volta». La testimonianza di di Chiara Bonelli che ha fatto un’esperienza in Grecia, grazie al cammino Mission Exposure proposto dal Pime agli studenti dell’Università Cattolica di Milano
Più volte, Papa Francesco ha ricordato le parole del beato Pier Giorgio Frassati: “Vivere, non vivacchiare”. E le ha ripetute anche durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia, nel caldo agosto del 2016, quando, insieme ad altri due milioni di ragazzi, anch’io ho sentito il Santo Padre pregarci di non essere dei “ragazzi-divano”, ma di prendere in mano la nostra vita e renderla migliore, densa di incontri. Dopo questa mia prima esperienza di “giovane nel mondo”, forse dando risposta a una ricerca che avevo nel cuore, ho accolto la proposta di partecipare a Mission Exposure, un progetto che accompagna i giovani in un cammino per un’esperienza estiva “al profumo di missione”. Nei sei mesi di preparazione abbiamo imparato a stare insieme conoscendoci e condividendo sogni, riflessioni, aspettative, esperienze. Dopo aver riflettuto su di sé, sul rapporto con gli altri e con l’Altro, abbiamo dunque ricevuto il nostro mandato: io – assieme a Emma, Ramita e Sara – sono stata destinata alla turistica città di Atene.
Non è stato ciò che mi aspettavo, ma forse è stato ciò di cui avevo bisogno. L’opportunità di vivere per due settimane in una realtà a cui normalmente si associano Partenone, spiagge e isole paradisiache mi ha permesso di capire quanto sbagliata sia questa visione. Per una giovane partita con una gran voglia di aiutare e mettersi a servizio, confrontarsi con una realtà che – apparentemente – non ha bisogno di aiuto è stata una doccia fredda, ma estremamente stimolante. Alla fine dell’esperienza, la mia valigia era gonfia di gratitudine per le persone che ho incontrato in quei giorni, a cominciare dalle mie compagne di missione. C’erano i bimbi delle famiglie povere che abbiamo accompagnato a vedere il mare per la prima volta: non avevano nulla, ma erano felici come se avessero tutto. C’erano le umili suore di Madre Teresa; padre Joseph ed Elias della Chiesa armena, che si prendono cura della comunità dei profughi e dei poveri del quartiere di Neos Kosmos; la casa-famiglia e il centro di accoglienza Betania dell’associazione Giovanni XXIII, i cui volontari da anni regalano ogni loro singolo giorno a tutti quelli che hanno bisogno. E poi i senzatetto e l’associazione Shedía, che cercano riscatto dalla vita di strada mostrando agli ateniesi e ai turisti l’Atene degli invisibili; e Dimitri, Mohamed e Alì, uomini che vivono per strada ma che con la loro gentilezza, simpatia e spirito di condivisione ci hanno fatto sentire a casa.
Porto nel cuore tante frasi, tanti incontri, sorrisi e preghiere, ma anche una rinnovata consapevolezza per cui vicino a casa o dall’altra parte del mondo, all’università, in treno o passeggiando per strada, vivo e non vivacchio solo se “mi dono per Amore”.