Rabbia
Rabbia numero 1. Fa caldo. Guido con prudenza sulla strada a tre larghe corsie che attraversa Uttora, vuota come solo il venerdì. Mi tamponano. Mi fermo: niente meno che un autobus a due piani costretto ora a fermarsi dietro di me. Come un lampo mi passa per la mente: accorrere di spettatori curiosi, fiume di parole dall’autista e dell’aiutante, irritazione dei viaggiatori trattenuti. La sarabanda si ravviverà all’arrivo della polizia, che si farà raccontare tutto tre volte, darà due sberle all’autista, dicendo poi che risolverà il problema, ma deve sequestrare la macchina, e far firmare documenti per cui occorre pagare. Poi, se ci sarà qualche forma di processo, almeno 10 persone testimonieranno che sono stato tamponato perché ho frenato di colpo, e dovrò pagare per riavere l’auto sequestrata.
Mi sposto, pieno di frustrazione, sul bordo della strada e il bus se ne va. La mia ruota posteriore destra è bloccata da un pezzo di lamiera contorto che non si smuove. Mi guardo intorno. Alcuni bancarellari si chiedono che cosa farò. Li avvicino. “C’è qualche officina qui vicina?” Lungo silenzio. Ripeto. Parlottano. “Non sappiamo. Devi cercare un’officina.” “Infatti, ma la macchina non va, e io non so dove andare.” Silenzio. “Non c’è qualche leva in ferro, qualche strumento con cui sollevare un poco la lamiera?”. Ripeto. “Ci vuole lo strumento adatto, bisogna cercarlo.” Mi allontano per non scoppiare. Altro interrogatorio ad altri bancarellari, che mi spiegano che per riparare l’auto ci sono appositi negozi, ma loro non sanno dove sono. “Prova dentro quel cancello in fondo”. Vado, c’è un ufficio di polizia… Torno. Mi sta venendo la febbre. Un passante si ferma, mi chiede che problema ho, mi indica un distributore dall’altra parte della strada, non troppo distante: “Prova là…” Vado e spiego al padrone seduto all’ombra. Pigramente mi indica un giovanotto che sta lavando un’auto. Spiego. “Dov’è la tua auto?”. La indico. “Aspetta”. Va, e torna dopo un quarto d’ora. “Sono giovane, più forte di te. Ho messo a posto la lamiera e per un poco puoi viaggiare, ma vai adagio.” “Così, con le mani?” “Certo!” Faccio per dargli una mancia, insisto, rifiuta. “Prega per me.” conclude.
Rabbia n. 2. Accanto al treno fermo ad una stazione un mendicante senza gambe, con un pezza di cuoio sotto il sedere, chiede l’elemosina cantando. Un gruppo di giovanotti nel mio vagone lo guarda, uno butta una monetina che rotola lontana. L’uomo arranca per raggiungerla, poi torna faticosamente sotto il finestrino. Un altro giovane getta un’altra moneta, questa volta fa apposta a buttarla lontana. Il mendicante si muove, e altri buttano monete in tutte le direzioni, ridendo. Mi invade una rabbia selvaggia, ma se parlassi riderebbero ancora di più. Uno di loro osserva in silenzio. Scende, raccoglie una per una tutte le monete, le porge al mendicante chiedendogli scusa.
Conclusione. In Bangladesh non ci si riesce mai ad arrabbiare fino in fondo.
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