Non solo aiuto scolastico, ma anche occasione per accompagnare la crescita. È Time Out, il nuovo servizio del Pime per gli adolescenti
Da oltre quarant’anni i missionari del Pime guardano con particolare attenzione al mondo dei giovani, che infatti risponde straordinariamente bene agli stimoli offerti dai cammini e dalle proposte estive. Da qualche anno l’Istituto si è dato da fare per riempire alcuni “vuoti di mercato” in questo campo. Nel 2018 ha lanciato Gps, un nuovo cammino specifico per i 18-20enni, che li accompagna in quella delicata fase di scelta del proprio futuro. Dal 2019 c’era nell’aria anche un’altra idea, orientata verso la fascia d’età ancora precedente: un servizio doposcuola per gli studenti delle superiori. Lasciata a maturare un po’, messa in pausa dalla pandemia, l’idea si è ripresentata con la riapertura delle attività, pronta per essere messa in pratica.
E a chi affidare una proposta educativa, se non all’Ufficio Educazione Mondialità della Fondazione Pime? Dopo una breve fase di studio il progetto ha iniziato a prendere forma nel settembre 2021 per concretizzarsi in ottobre in quello che è Time Out: uno spazio studio extra-ordinario. Dal lunedì al venerdì, dalle 14 alle 18 in una sala del Centro missionario di Milano si radunano una quarantina di adolescenti che, con l’aiuto di quasi trenta volontari, studiano, ripassano, recuperano materie scolastiche… ma che innanzitutto creano legami.
«Time Out non è solo un doposcuola» spiega Francesca Morgante, educatrice dell’Ufficio Educazione Mondialità responsabile del progetto. «È uno spazio per i ragazzi che parte dal loro bisogno primario, quello scolastico, ma che poi li accompagna nella fase dell’adolescenza con uno sguardo educativo attento che è sia individuale che di gruppo. È un luogo che crea amicizia e legami». La caratteristica principale è questa: Time Out non è un servizio di cui si può usufruire, un posto in cui si viene per ottenere qualcosa e basta, un aiuto allo studio on demand. Sin dall’inizio, nelle intenzioni dei missionari del Pime, c’era la volontà di renderlo un momento in cui gli adolescenti potessero essere protagonisti, conoscere ma anche e soprattutto crescere come uomini e donne migliori. «Aiutare nelle materie scolastiche in cui gli iscritti sono in difficoltà è stato solo il punto di partenza; abbiamo da subito inserito nel progetto elementi che li responsabilizzassero. Ad esempio chiediamo loro di aiutarsi anche a vicenda, non solo di farsi seguire dai volontari; chiediamo di avere cura dello spazio comune, che devono riordinare e tenere pulito. Così non si sentono solo ospiti, ma capiscono di essere attori attivi in un contesto che in qualche modo li riguarda». Crescere non è solo una proposta facoltativa: ogni nuovo iscritto fissa con l’educatore di riferimento – per ora Francesca – i suoi obiettivi; in primis quelli scolastici (materie da recuperare, voti da ottenere, una media da risollevare), ma poi anche quelli personali. «Qualcuno parla da subito dei propri obiettivi extrascolastici, altri invece pensano alla scuola prima di tutto e ai loro traguardi personali arrivano solo dopo. Noi, in ogni caso, ci prendiamo carico di ogni singola persona perché vogliamo che crescano principalmente dal punto di vista umano, che tirino fuori la migliore versione di loro stessi».
Per fare questo, l’educatrice e i volontari tengono costantemente le orecchie aperte per capire quali sono i bisogni degli iscritti, i temi e gli argomenti che li interessano e che possono essere rilanciati in qualche modo all’interno delle attività. È così che sono nati i dibattiti che ormai si tengono regolarmente, gli incontri su tematiche specifiche, le proposte formative aggiuntive, come il corso di fotografia, ma anche i momenti ricreativi. Ogni mese ciascun iscritto ha un confronto uno a uno con Francesca, poi ci sono spunti per farli ragionare sulla costruzione della propria identità e da gennaio un laboratorio di lettura nato dal bisogno dei ragazzi di fare pratica con l’italiano. «Per noi è un continuo progettare e riprogettare» prosegue Francesca. «Partiamo dagli stimoli che ci lasciano e dalle loro storie, e troviamo il modo di renderli protagonisti, non utenti. Ora stiamo pensando a qualcosa sulle scelte amorose, un tema delicato in alcuni dei loro contesti, e a uno sportello di dialogo con padre Ivan Straface per avere uno spazio di dialogo interreligioso».
Ma chi sono le ragazze e i ragazzi iscritti? L’intento iniziale dei missionari e degli educatori era quello di far partecipare sia gli adolescenti che abitano vicino al Centro Pime, sia quelli che vanno a scuola nella zona. Di fatto, gli iscritti sono quasi tutti stranieri. «Gli italiani della zona generalmente possono permettersi altri servizi rispetto a Time Out: corsi di recupero e professori di sostegno. Per questi ragazzi, invece, il nostro spazio studio ha colmato un vuoto: non avrebbero né la possibilità di un aiuto, né quella di incontrare un contesto così diverso dal loro come è il Centro Pime.
E’ un luogo in cui non sarebbero mai entrati» spiega Francesca. «Vi sono arrivati perché hanno il bisogno e il desiderio di andare bene a scuola, non perché volevano un supporto così “robusto”. Però una volta che l’hanno avuto, sono rimasti». L’incontro con un contesto diverso e con tante persone disposte a dedicare il proprio tempo per aiutarli ha sortito il suo effetto. Ma la cosa vale anche in senso inverso: anche i volontari si sono affezionati agli iscritti, portandosi a casa gli incontri e rimanendo coinvolti nelle storie. Il clima che si è creato è quello di una piccola famiglia in cui tutti si aiutano a vicenda e si sentono accolti, a prescindere dalla provenienza di ciascuno.
E l’incontro con i missionari? «Ovviamente ho spiegato a tutti in che luogo si trovano» precisa Francesca. «Molti di loro hanno registrato la frase, ma non hanno capito bene. Mi hanno chiesto se questi missionari fossero persone famose, visto che avevo detto che vanno in giro per tutto il mondo. Per ora hanno conosciuto di persona solo padre Ivan, che però non ha detto di essere un sacerdote. Il punto – e il bello – è che a Time Out la religione non è un limite ma una ricchezza e, soprattutto, c’è stato tra loro un incontro che è sempre andato oltre le differenze».