Velo
Pudicamente, sta un poco in disparte dal gruppetto di passeggeri che attende l’autobus. Occhi bassi, burka nera da cui non sbuca altro che la punta dei piedi – unghie laccate, come hanno quasi tutte quelle che portano la burka. Velo viola scuro, solo una fessura per gli occhi. Borsa.
Sale per ultima e sembra cercare un posto, poi rimane in piedi fra le due file di sedili e appena l’autobus parte incomincia: “Onorevoli passeggeri, vi chiedo un attimo di attenzione”. Ha una voce armoniosa, non forte, e tutti tacciono incuriositi. Seduto accanto a me un vecchiotto con palandrana e cappellino bianchi, barbetta da musulmano devoto, rimane esterrefatto. “Vi auguro buon viaggio e spero che a casa vostra tutti stiano bene. Perché non portate ai vostri bambini un regalo?”. Vende matite. Il vecchietto si agita: “Una donna che fa questo lavoro? Ma roba da matti”. La guarda. La fessura del velo mette in risalto due occhi luminosi, splendidi; la burka nera, certo non troppo larga, copre il vestito completamente, ma non nasconde ciò che c’è dentro i vestiti… Il pio ripete a voce un po’ più alta per essere sicuro che lo senta: “Una donna non deve girare a vendere. Il marito che fa?”. “Magari è morto” gli rispondo seccato. Borbotta parole incomprensibili. La ragazza passa lungo il corridoio e prima che l’autobus arrivi alla fermata successiva ha venduto 12 matite incassando 60 taka. Scende in fretta e si rimette in disparte, ad aspettare il bus seguente.
No, non credo che sia morto il marito. Credo che sia una studentessa che sa stare al mondo e ha trovato la via per pagarsi gli studi…
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